A proposito di crisi della legislazione: la “democrazia istantanea” per esempio

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1967

di Salvatore Ferraro

Confesso di aver fatto parte fino a ieri di una certa maggioranza.
Precisamente di quella maggioranza di italiani, lievemente imbevuti di diritto, che hanno guardato e continuano a guardare con orrore a quanto da anni accade in campo legislativo: un campo sempre più simile a una giungla ostile, prolifica e irta di rovi e cespugnacci normativi, dal volto e corpo sempre più stanco e oscuro.

Confesso, inoltre, di aver storto la bocca almeno cento, mille volte, anche di recente, davanti alla bulimia creativa di decreti legge e deleghe legislative che hanno caratterizzato il modo di “fare legge” o, più compiutamente, di “fare governo” almeno negli ultimi trenta e più anni in questo Paese.
Indizio grave, preciso e concordante, questo, di una crisi della legislazione che per noi di questa “certa maggioranza” di italiani apriva, in senso giuridico, scenari funesti, visioni apocalittiche di negazione del diritto e dei principi ordinari di legislazione virtuosa.

Poi ho capito che proprio di questo si tratta.

Si tratta di scenari, di visioni. Più semplicemente di punti di vista. Si tratta della capacità di vedere, insomma.
E’ stata la lettura del libro di Daniele Capezzone (al quale, tra l’altro, sono legato da un rapporto di profondissima gratitudine) “Democrazia Istantanea” uscito ora per quelli della Rubbettino a farmi comprendere quanto l’aspetto visivo del diritto ossia quella capacità di vedere in diretta e non semplicemente prevedere (come spesso stoltamente fanno i giuristi) i risultati di un’azione legislativa nel tessuto sociale a cui essa è diretta sia decisivo: essere movimento, fare movimento. Cambiare la realtà. Disporsi per la sua trasformazione. Sono elementi essenziali della norma e del diritto. La staticità, lo sappiamo, è la negazione della legge e del diritto.

La situazione attuale (ma anche quella passata) di un certo modo di legiferare è chiara a tutti: destinata alla completa staticità e quindi alla negazione stessa del diritto e della politica.

Lo stesso Daniele evidenzia nel suo testo il perpetuarsi, in tale direzione, dei due ingredienti principali: inflazione e inquinamento legislativo, iperproduzione nel primo caso, torbidezza normativa provocata da pluralità delle fonti del diritto, frammentazione e stratificazione delle norme, ambiguità del linguaggio, eccessivo ricorso alla abrogazione implicita, nel secondo.

Questa trombosi del diritto che presto degenera in paralisi produce un effetto devastante, riassumibile in questo beffardo paradosso: nel nostro Paese, anche la legge più condivisa, più “popolare”, più “benvoluta” (a mio avviso, per esempio, farà scuola l’iter legislativo della pdl “sette giorni per un’impresa” proprio di Daniele Capezzone) rischia di non vedere mai giorno.

La prospettiva della “democrazia istantanea” è la scelta di una certa visione della legge, del modo di concepirla in relazione alle necessità e preferenze dei consociati: Vedere, quindi, la legge in azione. Osservare le sue interazioni con il tessuto sociale a cui è diretta. Una sostanza normativa che ha nella empiricità la sua forza ma anche, e questo un aspetto importante, un vero e proprio strumento di garanzia per tutti i consociati. Anche se espressa nella forma di semplice decreto.

Perché è questo che ha sempre spaventato, a partire già dal 1472 con Ludovico Muratori nel suo “dei difetti della giurisprudenza”, giuristi, politici, cittadini. Che l’agire politico fosse privato di un controllo, che all’azione di governo non corrispondesse un giudizio superiore, uno strumento di garanzia, capace di inibire eventuali conseguenze indesiderate.

E qui sta la differenza tra vedere le conseguenze e il semplice prevederle. Qua sta la differenza tra una giuridichese previsione allarmistica e tra una visione induttiva di un governo pragmatico. Un governo che, dicevamo, punta a trasformare.

Il decreto agisce, il governo e il cittadino osservano l’agire del decreto. In caso di conseguenze indesiderate, il governo può in ogni momento e con estrema facilità intervenire a correggere il tiro.
Si afferma uno schema empirico-induttivo di grande semplicità ma, soprattutto, votato al movimento della realtà in cui opera. A seguirlo. A correggerlo se necessario. A incoraggiarlo e migliorarlo se la realtà a cui esso è destinato lo richiede.

E’ altresì interessante notare come, dal Renton report (ma ancora prima c’era stato l’articolo di Mario Longo nel 1960 in “diritto dell’economia”), passando dal rapporto Giannini fino al libro bianco di Prodi del 2001 con l’introduzione della “better regulation”, le ricette presentate per intervenire a “schiarire” la situazione legislativa siano delle compulsive raccomandazioni e, in quanto tali, piuttosto fiacche. Come se ogni intervento, anche serio, sul cuore della legislazione non possa che prevedere solo punti di sutura, bendaggi, cure “alla buona”.

La visione della “Democrazia Istantanea” è un invito a vivere la dimensione normativa, anche se formalmente meno strutturata, come una sorta di teleocrazia che ha in quel senso il privilegio di divenire, proprio per la dinamica empirico-induttiva dei suoi prodotti normativi, una democrazia davvero partecipata, flessibile, dotata di attualità normativa (non dimentichiamoci che parecchie leggi approvate, grazie alle lungaggini procedurali, avevano perso il valore della loro attualità), di divenire, cioè, alla fine, quel soggetto dotato di velocità (da distinguere dalla fretta come lo stesso Capezzone ci ricorda nel suo libro), efficienza e visione live delle cose di pubblico interesse che potrà davvero trasformare in positivo e tempestivamente la realtà sociale che è chiamato a governare.

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