AUSILIA GUERRERA
Il premio Nobel, che non è solo il più grosso ma il più idealistico dei premi, nel significato non filosofico che la parola idealismo conserva ancora per il pubblico, è toccato stavolta, per la pace, all’Unione europea. L’Accademia svedese ha precisato e motivato che l’Unione Europea è stata premiata perché: “L’Unione e i suoi leader hanno contribuito in oltre sessant’anni ai progressi nella pace e nella riconciliazione, nella democrazia e nei diritti umani in Europa”.
Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”, ed equivale ai “progressi di pace” cui Alfred Nobel fa riferimento nel proprio testamento del 1985 per il Premio per la pace. Un’opera di pace nella quale l’Europa si è confermata quale combattente per la causa umanitaria e per la libertà di pensiero. Impegnandosi a favorire con tutti i mezzi disponibili la soluzione delle divergenze che dividono le nazioni. Di fronte al moltiplicarsi e al succedersi degli eventi e degli omaggi questa è l’attuale missione dell’Europa: la pace. Osservare lo spirito europeo, affinché l’Europa sia, in potenza e in atto, una vera unità morale e religiosa, affinché l’dea universale resti inseparabile dall’immagine geografica del nostro continente. Un processo considerato ormai irreversibile.
Nel corso dei secoli che vanno dall’Umanesimo all’Illuminismo se il problema del dispiegamento della ragione umana si pone in tutti i sensi, e l’Utopia si sbizzarrisce e disegna piani di regni o di città universali, una questione europea non viene pur tuttavia mai posta. Quand’essa era già Europa senza saperlo e senza volerlo. L’unità continentale dell’Europa è intatta durante le cavalleresche e civili guerre settecentesche; subisce invece un primo attacco nell’Ottocento con il disfrenarsi dei vari irredentismi nazionali, e ha il suo colpo di grazia nel 1914. Da allora non esisterà più una definibile Europa, essa non sarà più sola né in pace né in guerra e coloro che vorranno considerare il nostro continente come il tronco d’ogni possibile civiltà commemoreranno il tramonto dell’Occidente. Pronti per il necrologio. Da allora in poi la necessità dell’Europa si fa sempre più impellente, divenendo il preludio di una vita cellulare, che ha dovuto riconsiderare tutti i suoi problemi su una scala europea. Lo spirito europeo può vivere a patto che i popoli d’Europa siano guidati e condotti da una comune leadership morale e civile, con tutte le conseguenze strutturali ed economiche ch’esso ha prodotto.
L’onorificenza del premio Nobel ci dice che l’Europa ha in se stessa (o nel sangue, o nella razza, o nelle idee) le proprie giustificazioni. In tutti noi è presente il concetto di un’Europa madre della civiltà. L’Unione europea non lotta per sopravvivere, ma lotta per un primato, il mantenimento della pace e per la sua salvaguardia. Per la prima volta nella storia essa riceve il riconoscimento della propria opera, per la prima volta essa sente di essere un tutto, non una parte. La portata emblematica e morale di un simile omaggio significa che l’Unione europea ha elaborato un suo mito, una sua idea di se stessa che ha un valore universale.
Ci troviamo dinanzi a una situazione di fatto, che ha ripercussioni psicologiche, e che l’Europa registra e apprezza come un fatto: un’unità di pace e di speranza. Questa è la vera evoluzione dei fatti a tutt’oggi di un’Unione europea che ha saputo trovare in se stessa il senso della propria necessità. Sul piano della cultura, della filosofia, dell’arte e delle istituzioni, con le quali riesce a legare e a federare i suoi Stati, in seguito a un lungo e irripetibile processo storico. Nonostante alcune potenze abbiano preso posizione e si siano dichiarate più atlantiche che europee, come l’Inghilterra – che non aderisce all’euro – per il suo carattere smaccatamente insulare, ciò implica semplicemente che l’Europa esporta da anni la sua cultura, i suoi uomini, i suoi miti stessi, che ora si ritorcono contro la loro patria d’origine.
A riguardo Anatole France aveva profetizzato che: “gli inglesi faranno il socialismo col re e con la Camera dei Lords, non aderiranno agli Stati Uniti d’Europa ma daranno a questi la loro collaborazione”. La profezia si è attuata in parte. L’Europa in quanto unione è più di un sapore, è una sintesi unitaria di caratteri. E vive naturalmente come un immenso mercato, come un grande terreno di conquista. È un bel panorama. Il campo della cultura non è più il solo in cui un certo ecumenismo di tipo europeo sembra primeggiare. Anche se la riuscita dell’Europa è legata sicuramente, preliminarmente, a una ripresa della sua cultura: un vai e vieni di idee, di propositi, di fiducia e di sfiducia animano la sua storia, rendendola viva e operante. Ne nasce un percorso evolutivo in cui si sono create condizioni di vita – confini spirituali – tali da meritare che ci si battesse per difenderle. L’esperienza europea non ha mai tradito costituzionalmente la causa universale della cultura; è stata una seminatrice di dubbi, cioè un totale impegno dell’anima.