Ennesima domenica di sangue in Kenya. E la storia macabra si ripete. Stamane durante la funzione eucaristica per le scuole, la chiesa di San Policarpo, all’estrema periferia di Nairobi, è stata ferocemente attaccata da un blitz. Una ferocia particolarmente immotivata se si pensa che nel mirino è finita proprio l’ala della chiesa destinata agli alunni. Un’altra chiesa piagata da un’azione blasfema e sacrilega e un’altra piccola vita recisa come un fiore, mentre una cortina di fumo e di schegge volavano da ogni lato, a coprire gli occhi e i sensi e la sensibilità di molte vite, per sempre.
Il bilancio delle vittime dell’assalto assassino, secondo la polizia della capitale e il sito Nation, è di un bambino morto per l’esplosione di una bomba a mano e di altri nove bambini che, preda al panico si ammassavano all’uscita, in cerca di fuga ferendosi. Che l’allarme fosse già stato lanciato da tempo, almeno da luglio scorso quando ben due attacchi simultanei avevano provocato 17 morti durante la messa, a Garissa, con oltre 50 feriti, ad opera degli Shabab somali (le milizie islamiche in azione, il gruppo insurrezionale islamista attivo in Somalia, che intende, fra le sue finalità, imporre la sharia come legge dello stato somalo, oltre alla cacciata dei soldati stranieri dalla Somalia ed al rovesciamento del Governo Federale di Transizione), è un fatto, lasciato cadere, evidentemente, come un grido nella notte, nel vuoto. In una latitudine del mondo in cui non è scontato il rispetto per le vite umane, dove non ci sono diritti che tutelino le persone e dove chi si prodiga per innalzare la vita umana al di sopra di uno stato di pura necessità, è fatto oggetto di rappresaglie disumane o di rapimenti.
Così accadeva un anno fa ai collaboratori dei Medici senza frontiere, che ligi al loro dovere nel campo profughi di Dadaab (la tendopoli di baracche e lamiere) venivano rapiti e portati in Somalia, da un commando armato – ottobre 2011. Innescando una bomba ad orologeria che a distanza di mesi e mesi deflagra, mietendo vittime su vittime, e facendo implodere sempre più il grido di terrore che si leva da quelle terre a dirci tutta la nostra e la loro impossibilità e impotenza nel salvare quel che resta di un’umanità dolente senza futuro. Cronaca purtroppo accertata. Non così la responsabilità. Nonostante ogni evidenza, ci si muove sempre nel limbo amorfo dei sospettati. L’antefatto.
Il rapimento dello scorso ottobre provocò uno sconfinamento di Nairobi in Somalia, che inviò centinaia di militari, per rispondere alle infiltrazioni degli Shabab in Kenya. Da quel momento in poi l’escalation di violenza, mai rivendicata, dagli Shabab somali, che pure sguazzano in Kenya (e i cui finanziamenti provengono dalle attività dei pirati somali), ma ad essi riconducibile, si è infittita, fino alla deflagrazione mortale di stamattina. Rappresaglia imputabile a una vendetta dei gruppi qaedisti per l’offensiva dell’esercito keniano in Somalia contro le milizie Shabab.
Quello che resta insondabile, nelle sue motivazioni profonde, è la profusione di odio verso fedeli poverissimi che gremiscono le altrettante povere chiese cristiane delle città e dei villaggi del Kenya. Un metodo ritenuto particolarmente efficace per la diffusione dell’odio e della paura, pontificava il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, questa estate.
Quali previsioni aspettarci adesso? Quali altri attentati e stragi impunite violeranno ancora la libertà di esseri umani indifesi? Quanto sangue innocente dovrà ancora scorrere per placare la sete di vendetta estremista? Quali sospetti saranno realmente puniti, pur invisi all’opinione pubblica mondiale, e quanti circoleranno ancora liberi per ordire altre trame maligne e infami? Quanti si sporcheranno ancora le mani e la coscienza col sangue innocente che zampilla a fiotti scuro come sangue di animali al macello?
E quanto terreno brullo, in quelle terre lontane, eppure così vicine alla nostra sensibilità, a furia di martoriarlo ancora, sarà vivido e acceso come una pozzanghera di sangue, chiazza di vergogna rappresa sul volto di immondi assassini, e impronta indelebile quanto indicibile di un male oscuro che ci circonda? Ai posteri l’ardua sentenza?!…
Oppure sarebbe ora che la drammatica situazione somala divenisse una priorità nell’agenda politica internazionale, una matassa da sbrogliare e di cui farsi carico non solo dal punto di vista umanitario, ma anche strettamente politico, per un intervento diretto in una realtà scomoda e tormentata, che, con la sua instabilità interna, minaccia la stabilità, sia pur precaria, dei paesi confinanti – che pure aprono i confini ai profughi somali, impedendo però loro un inserimento effettivo nelle strutture del paese accogliente – incluso il Kenya.