di Adriano Gianturco Gulisano
Le viscere più profonde di questo Paese sono fortemente illiberali (nel senso più lato del termine). La quasi totalità degli italiani pensano che una cosa dovrebbe essere vietata, persèguita, portata al pubblico disprezzo, quando… Quando non gli piace! Manca quell’alta moralità di discernimento tra ciò che ci garba personalmente e ciò che seppur disgustoso non ci riguarda. Il problema è anche pratico: così facendo il castello cade. Io vieto a te, tu vieti a me: tutto è vietato. O nella migliore (?) delle ipotesi chi vince decide tutto, chi perde perde tutto. Tutto è affare politico. La democrazia pervasiva.
Il caso Corona è uno degli emblemi di questa situazione. Pochi giorni fa in un programma di La7, sei politici si sono affrettati a prendere le distanze dall’agente dei paparazzi; Livia Turco ha detto di non conoscere proprio Corona, lui ha replicato che quindi non legge i giornali e lei ha rivendicato di conoscere solo l’Italia delle industrie e dei lavoratori. Corona ha ricordato che prima delle vicende giudiziarie (e non essendo ancora concluse è quindi ancora innocente) lui dava direttamente lavoro a 30 persone e comunque produceva in regime di libero scambio. La deputata, dando inconsapevolmente ragione alle teorie elitiste-realiste di Mosca e Miglio, ha urlato di non accettare lezioni sul come fare il proprio mestiere e ha abbandonato lo studio.
Qui si va oltre a livello giudiziario e si finisce in quella parte di Italia che inorridita da un personaggio come Corona e che non riuscendo a ragionarci neutralmente vuole fare dei propri gusti una legge. Visto che se io ho un segreto, lo porto pubblicamente in piazza o a cena fuori, poi non posso lamentarmi che altri ne facciano cassa di risonanza parlandone, scrivendone o fotografando, e non posso neanche appellarmi a un qualche reato perché semplicemente non esiste. Visto che omettere di fare il mio lavoro non è minaccia; e visto che a chiedere di non pubblicare le foto erano gli stessi interessati, c’è da scommettere che il catanese sarà assolto e magari risarcito col nostro denaro, per un sistema giudiziario senza responsabilità personale dei magistrati.
Al di là di tutto comunque, Corona, come chiunque altro, è per ora innocente (fino a prova contraria); quindi il discorso diventa subito dibattito pubblico, non tanto sulle vicende giudiziarie ma su quelle morali(ste). Andiamo al vero nocciolo della questione. Corona è attaccato perché affamato di soldi e successo, contro il “dio denaro”; snobbato perché non raffinato; criticato perché se negli Usa si ammirano i “self-made-men”, qui agli “arricchiti” si preferiscono gli ereditieri colti; e quasi odiato perché a differenza degli intellettuali e politici che trovano il posto fisso con i soldi dei contribuenti, lui rischia le proprie risorse nel mercato. Creatore di “mercificazione”, quando invece la mercificazione, “è” già, e non si crea, e semplicemente vuol dire che di un qualche bene c’è domanda ed è contendibile.
Tutti ingredienti del solito minestrone ideologico che oggi però già attanaglia tutto l’arco costituzionale, una sorta di radical chic anche di destra, trasversale, che non è solo distante dal Paese reale, da quelle periferie che comprano gli slip di Corona e fanno la fila per vedere i vip in discoteca e sui moli della Sardegna; ma che si eleva e pretende pure di indicare la retta via, alla faccia della rappresentanza e ancor più della delega. Un sistema che di fatto si regge proprio su chi produce, e che contemporaneamente li critica, anche se sono loro a tenere in piedi e mettere in moto il sistema, anche se sono gli “arricchiti” il vero riscatto sociale, la vera mobilità, la vera opportunità di chi non poltrisce sui librerie ereditate, senza rimboccarsi le maniche dietro una scrivania privilegio corporativista di papà.
Quello che più apre scenari pessimisti però è che lo stesso Corona, al di là dei modi spigolosi, è, nei contenuti (culturali, non giudiziari), sulle difensive. Quella gente che lavora, spende, non legge e che quindi non riesce ad elaborare una teoria coerente. Dice di non aver fatto niente di male, ma non sa di aver fatto del bene. Sa di far girare l’economia, ma non sa che il suo esempio (anche se repellente ai più sofisticati) sprona l’imprenditorialità, la creazione di ricchezza e di posti di lavoro.
Certo non è solo una questione efficientistica di sostenibilità economica, è anche un fatto di libertà. L’editore porno Larry Flint è stato negli Usa l’emblema proprio di questo, di un sistema che garantisce anche i peggiori della società, perché solo così può garantire tutti.