LIVIO GHERSI
Il 12 luglio 2012 il Senato della Repubblica italiana (nella seduta n. 764) ha approvato i disegni di legge di ratifica ed esecuzione di tre distinti trattati, già sottoscritti dal nostro Governo, che di seguito si specificano.
1) — “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria”, detto “Fiscal compact”. Nella votazione finale del disegno di legge n. 3239, 216 senatori hanno votato a favore; 24 hanno votato contro (prevalentemente i senatori della Lega Nord) e 21 si sono astenuti (prevalentemente i senatori dell’Italia dei Valori).
2) — “Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES)”. Nella votazione finale del disegno di legge n. 3240, 191 senatori hanno votato a favore, 21 contro e 15 si sono astenuti.
3) — Decisione del Consiglio europeo che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Nella votazione finale del disegno di legge n. 2914, 230 senatori hanno votato a favore, 22 contro e 14 si sono astenuti.
Nessun quotidiano, tra quelli più diffusi in ambito nazionale, ha richiamato la notizia in prima pagina. Che noia quest’Unione Europea! Perché dare importanza ad un trattato che vincola la politica economica del nostro Paese per i vent’anni successivi alla sua entrata in vigore? La vera notizia è che l’onorevole Berlusconi si riproponga per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. E’ con riferimento ad argomenti come quest’ultimo che si possono scrivere cose vivaci e divertenti per i lettori! Nella prossima settimana, anche la Camera dei Deputati assolverà in modo burocratico il noioso adempimento della ratifica dei nostri ulteriori vincoli con l’Unione. Non si prevedono titoli a nove colonne, né trasmissioni in diretta televisiva a reti unificate.
E’ il fato. Di fronte all’ineluttabile, non resta che la presa d’atto.
E’ vero: la Costituzione italiana prevede la ratifica parlamentare dei trattati internazionali (articolo 80 Cost.). Vanno approvati con legge, perché non si ritiene sufficiente l’impegno assunto dal solo Governo. In linea teorica, il Parlamento potrebbe anche smentire il Governo e decidere di non ratificare. Il Parlamento potrebbe, sempre in teoria, valutare che un argomento è tanto importante per il futuro dei cittadini, da meritare il loro diretto pronunciamento, tramite referendum. L’articolo 75 della Costituzione non ammette la possibilità di tenere referendum abrogativi sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di tratti internazionali. Non sta scritto da nessuna parte, però, che non si possano prevedere (disciplinandoli) referendum di indirizzo su scelte di importanza fondamentale. Situazioni eccezionali obbligherebbero all’uso di strumenti non usuali.
I nostri parlamentari (quelli attuali, perché non è sempre stato così), sono stati abituati a pensare che il Governo decida per tutti e che le ratifiche parlamentari dei trattati siano poco più di un adempimento burocratico. Come criterio generale, vale la regola non scritta che l’opinione pubblica italiana deve essere tenuta sotto tutela. Meno conosce del concreto funzionamento dell’Unione Europea e meglio è. La politica internazionale è campo difficile, da cui è prudente tenersi alla larga. Basta che i cittadini sappiano soltanto che questi sono tempi di tagli, di restrizioni e che occorre fare sacrifici. Perché così vogliono divinità capricciose, che ci permettiamo di evocare con l’espressione misteriosa “mercati finanziari”. I medesimi cittadini, tuttavia, devono essere guidati a nutrire fiducia, perché il genio politico dei nostri governanti e dei nostri parlamentari riuscirà ad invertire la rotta in tempi storici (chiedo scusa per l’errore, volevo scrivere in tempi “brevi”). Ci saranno nuovamente sviluppo e crescita. Prima o poi, i mercati finanziari impareranno ad apprezzarci e guarderanno a noi con simpatia. Allora, finalmente, saremo felici. Allora, nel mondo globale, varrà per tutti il principio fondamentale della libertà. Tutti liberi di scegliere il lavoro preferito, di costruire relazioni affettive stabili, di mettere al mondo figli, di viaggiare per vacanze, di consumare secondo i propri gusti; in una parola, liberi di perseguire e di realizzare un proprio progetto di vita. Perché mai, altrimenti, si sarebbero presi il disturbo di insegnarci che liberismo economico e liberalismo sono perfettamente coincidenti ed indissolubilmente legati?
In tempi di prevalenza dell’economia, il diritto si prende talora le sue rivincite. Così la Corte Costituzionale della Repubblica federale tedesca sarà chiamata a valutare la legittimità dell’assunzione di nuovi oneri finanziari finalizzati ad obiettivi di solidarietà comunitaria, su richiesta di governi di Stati membri dell’Unione Europea, ma poco graditi dalla Germania. La logica puramente economica potrebbe ricevere smentite non soltanto dai giuristi tedeschi. C’è un vecchio brocardo latino che recita: «Ad impossibilia, nemo tenetur». La saggezza dei giuristi, prima Romani e poi Bizantini, aveva individuato, tra le tante regole, questa: nessuno può essere tenuto a cose impossibili. Neanche volontariamente, neanche con un contratto stipulato liberamente e debitamente sottoscritto, ci si può impegnare a prestazioni che qualunque giudice di buon senso giudicherebbe irrealizzabili. Gli economisti ed i politici rigoristi oggi fanno esperimenti macroeconomici utilizzando i cittadini come cavie. Domani toccheranno con mano gli effetti sociali delle loro politiche. In quel momento si vedrà se erano stati troppo ambiziosi e presuntuosi (sulla pelle degli altri).
Tra venti e più anni, altre generazioni potranno valutare storicamente come l’Unione Europea tentò di governare la sua crisi agli inizi del secondo decennio del ventunesimo secolo e come i singoli Paesi dell’Unione, Grecia, Spagna, Italia, vissero in concreto le conseguenze delle decisioni di politica economica allora adottate. Indipendentemente dalla mia sorte personale, mi farebbe piacere che tra vent’anni ci fosse ancora un libero Stato chiamato Italia.