Editoria – Il sindacato è in grado di vigilare perché la legge sia applicata ovunque?

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di SIMONA FOSSATI

Tutti felici e contenti perché la Camera ha dato il via libera alla legge sull’equo compenso proposta dall’onorevole Enzo Carra. E sicuramente in tempi brevi sarà pure completato l’iter parlamentare con l’approvazione al Senato.
Ma viene da chiederci: quanto valgono le leggi dello Stato in favore dei giornalisti che lavorano fuori dalle redazione, se poi non c’è la forza di chi le deve far rispettare?

Quindi o il sindacato si sveglia e con forza apre un tavolo di trattativa sul lavoro autonomo, mettendosi bene in testa però che chi è fuori se ha diritti certi, pagamenti professionali e in tempi brevi, riesce a vivere del proprio lavoro senza necessariamente pietire un lavoro fisso.
Una cosa è infatti trattare la stabilizzazione di precari e abusivi, altro è sancire i diritti dei lavoratori autonomi. Se non si comincia a chiarire di chi e di che cosa si parla non si potrà mai andare da nessuna parte.

Quindi non si deve andare a trattare un “contratto” per i freelance ma semplicemente sancire regole certe per un lavoro autonomo a livello professionale.
Il problema era, è, e resta uno solo: chi farà rispettare le norme favorevoli? Chi andrà a controllare ed esigerà l’applicazione dell’equo compenso? Il collaboratore non ne ha la forza, perché il ricatto è sempre lo stesso: “o taci o non collabori”.

Lo dimostrano i contratti capestro che vengono loro fatti firmare ogni giorno, in cui devono accettare riduzioni d’ufficio dei compensi, cessione universale dei loro diritti, niente anticipi o rimborsi spese, in alcuni casi persino pagare di tasca propria se il committente alla fine del mese ha pubblicato meno pezzi di quelli previsti dall’accordo tra le parti!
Insomma, pare che oggi se si vuole lavorare bisogna rinunciare a priori a tutti i diritti ed accollarsi tutti i doveri del mondo.

Certo tutti questi accordi sono definiti dai più grandi avvocati del lavoro: “patti leonini” e quindi non valgono, già ma quando non valgono? Solo in caso di vertenza.

L’ultimo esempio è il contratto che gira tra i collaboratori del gruppo Gruner+Jahr, dove praticamente l’editore si riserva il diritto di proprietà assoluta su tutti gli articoli e, soprattutto, il diritto a farne ciò che vuole, a rivenderli quando e come vuole, persino ad usarli per la pubblicità. Incredibile, e pensare che la tutela dell’opera dell’ingegno è difesa da leggi fortissime in tutto il mondo, compreso in Italia. E il ritornello è sempre lo stesso: o firmi e rinunci a tutto, o hai finito di collaborare.
I precedenti di norme non rispettate per la nostra categoria sono celeberrimi: dai tempi per il pagamento delle collaborazioni, sancito dal decreto legge 231/2002, che a sua volta recepiva una direttiva europea: prevede il pagamento di qualsiasi prestazione entro trenta giorni dalla prestazione stessa, cioè il pagamento dei pezzi entro 30 giorni dalla consegna, disatteso da tutti.
Al 2 per cento, il contributo integrativo a carico dei committenti, dovuto all’INPGI 2, guarda caso per legge. Da una parte abbiamo l’INPGI che comunque lo richiede al giornalista, indipendentemente dalle modalità con cui viene pagato: diritto d’autore, partita IVA, “falsa” collaborazione occasionale, e così via. Dall’altra abbiamo gli editori che insistono nel volere retribuire le collaborazioni con una serie di modalità che (secondo loro) servono ad “evadere” il contributo dovuto.
L’INPGI ha un bel mandare circolari agli editori e spiegare tutto ben chiaramente sul sito www.inpgi.it, resta il fatto che il famigerato contributo integrativo non viene versato, salvo che per la partita IVA (ma solo perché in questo caso il controllo arriva direttamente dallo Stato).
E ancora, gli editori si sono inventati il tetto per le collaborazioni giornalistiche: 5.000 euro. Anche questa una ben strana storia. L’esenzione al versamento dei contributi previdenziali obbligatori per i redditi fino a cinquemila euro riguarda solo ed esclusivamente i lavoratori autonomi INPS. Tutti i lavoratori autonomi iscritti agli Ordini professionali non hanno alcuna esenzione contributiva e possono guadagnare quello che vogliono senza tetto alcuno.

Più volte per la verità il Comitato Amministratore INPGI 2 ha approvato delibere per cercare di esentare i giornalisti con redditi minimi dal versamento contributivo. L’ultima delibera è proprio di un anno fa. Bocciata miseramente dai Ministeri Vigilanti, con questa volta un’aggiunta: un invito, non poi così velato, a non provarci mai più. Insomma la storia è sempre la stessa, anche se dura da mandare giù, agli occhi del legislatore o un giornalista guadagna bene, riesce a vivere del proprio lavoro, pagare contributi previdenziali seri che lo porteranno ad una pensione decente, oppure meglio cambi mestiere.
Ora noi ci chiediamo: dati tutti i precedenti di norme mai rispettate, data l’arroganza sempre più forte di tutti i committenti e la sudditanza sempre più accentuata di tutti i giornalisti che cercano di sopravvivere in un mercato sempre più selvaggio, come si può pensare che qualcuno rispetti una legge sull’equo compenso?

Solo se avremo un sindacato che sappia risollevare la testa e contrastare con forza gli editori. Ai posteri l’ardua sentenza.
A noi il sapere che la speranza è l’ultima a morire, ma anche forse, decidere una volta per tutte che ora vale davvero la pena di unire tutte le forze dei vari gruppi di precari e freelance e, tutti insieme, fare cartello e una forte pressione perché tutte queste norme disattese vengano finalmente rispettate.

Simona Fossati per Senza Bavaglio – Esecutivo USGF (Unione Sindacale Giornalisti Freelance)

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