L’inevitabile festa di piazza contro Berlusconi

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di LUCA MARTINELLI

Prima di tutto, mettiamo una cosa in chiaro: le manifestazioni di giubilo misto a rabbia Berlusconi se l’è meritate – e in un certo senso, se l’è perfino cercate. S’è meritato tanto i cori di “Buffone! Buffone!” quanto le redivive monetine, s’è meritato tanto il trenino stile Capodanno quanto l’Alleluja di Handel. Le manifestazioni di giubilo di sabato sera sono simili a quelle degli statunitensi che hanno festeggiato a maggio scorso la morte di Osama bin Laden. Allora come ora, non è la fine (meritatamente) ingloriosa di qualcuno che si è celebrata, bensì la speranza di essersi liberati di quel pensiero opprimente, possibilmente per sempre, di aver chiuso un capitolo.

Già Peppino Caldarola, il 18 gennaio scorso dalle colonne de Il Riformista, avvertiva: “Non è stata una dittatura, finirà come una dittatura. Non lo è stata perché c’era un’opposizione che ha vinto e sprecato la vittoria due volte, perché gli altri poteri dello Stato sono rimasti in piedi, perché il governo è stato conquistato con il voto. Finirà come una dittatura perché l’identificazione del potere con le avventure indecenti di un uomo privo di decoro sta avvolgendo in modo soffocante la vita civile del paese”.

A queste parole, ci sarebbe ben poco da aggiungere, se non fosse che la situazione è degradata giorno dopo giorno, fra ripicche infantili tra ministri (con Tremonti al centro di ogni polemica), pernacchie e sconcezze varie di Bossi, una guerra in Libia che i francesi ci hanno imposto, manovre economiche composte e scomposte nella più totale mancanza di idee e stabilità, l’emergere delle difficoltà in campo finanziario, per arrivare fino alla risatina del duo Merkel-Sarkozy di fronte a tutto il mondo.

In quelle manifestazioni c’è tutto questo, così come c’è il senso di una impotenza e di uno spaesamento sempre più crescente, di fronte a un Berlusconi che meno faceva e più vinceva, in grado di imporre a Napolitano la firma di un decreto interpretativo incostituzionale ed essenzialmente fascista poco prima delle Regionali 2010, in grado di ottenere il voto di persone che risaltavano per pochezza morale e spregiudicatezza. E c’è il progressivo senso di svilimento della nostra dignità, peraltro nell’anno del Centocinquantesimo dell’Unità.

Era inevitabile che finisse così, per cui si abbia pietà di una nazione che ha necessità di esorcizzare la figura di un uomo che ha amato e odiato per diciotto lunghissimi anni. Anche perché adesso inizia il resto della nostra vita, che si preannuncia piuttosto dura e complessa. L’Italia, infatti, è una grande obesa che è stata colta da un infarto a causa del suo stile di vita dissoluto e che è stata salvata per i capelli. L’emergenza è passata ma d’ora in poi, avvertono i medici, dovrà smettere i vizi, osservare una dieta ferrea e mantenere uno stile di vita salubre, per il resto dei suoi giorni.

Non sarà facile affrontare con coraggio quelle riforme che il Paese aspetta da vent’anni, che conosciamo a menadito e che sappiamo essere vitali, perché incideranno sulla carne viva, sui privilegi, sui portafogli. Non sarà facile perché a doverle fare sarà un tecnico, non una nuova maggioranza politica in grado di fornire una alternativa politica; perché, per la prima volta, non avremo più alibi per non agire: siamo soli di fronte alle nostre responsabilità.

Una cosa soltanto è certa: non possiamo più permetterci di dimenticare cosa davvero è stato quest’ultimo decennio, soprattutto negli otto anni in cui ha governato la destra. Non possiamo più permetterci di rimpiangere Silvio Berlusconi e la sua maggioranza fatta di incapaci, ignoranti, presuntuosi, cafoni e approfittatori. Il primo che rimpiangerà Berlusconi, prendetelo a calci nel sedere.

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