di LIVIO GHERSI
Il nostro presente si chiama Lampedusa. Un’isola che ha le dimensioni di 20,2 kmq. Non ci sono mai stato, ma conosco bene un’isola siciliana che ha una dimensione quasi doppia: Lipari, la cui superficie è di 37,6 kmq. Comprendo perfettamente, quindi, cosa possa significare concentrare nel ristretto spazio fisico di Lampedusa seimila profughi provenienti dal Nord-Africa, bisognosi di tutto, i quali vengono a sommarsi ad una popolazione stanziale di oltre cinquemila abitanti.
Tutti i Paesi Arabi sono oggi investiti da un vento di libertà, che ha già travolto i governi della Tunisia e dell’Egitto, ha determinato una guerra civile in Libia, sta provocando un terremoto politico in Siria. Senza dimenticare gli effetti significativi in molti Stati della penisola arabica.
Le proteste popolari non sono determinate da motivazioni religiose. Il pericolo del fondamentalismo religioso, in questo caso, è evocato a sproposito. Protagonisti delle proteste sono giovani che si rivoltano contro i regimi dittatoriali che li opprimono. Le masse giovanili chiedono, ad esempio, che laddove ci sono ingenti risorse naturali, come il petrolio ed il gas, queste si traducano in fattori di ricchezza e di sviluppo economico per le popolazioni, mentre finora sono state sfruttate per arricchire i tiranni al potere, le loro famiglie, i loro clienti. I giovani chiedono società aperte, chiedono libertà e dignità. Invece, nei regimi dittatoriali, le opportunità di affermazione sociale ed i posti di lavoro sono riservati esclusivamente alle famiglie ed alle persone in sintonia con i detentori del potere. Poiché questo grande moto di popolo è venuto a coincidere con le celebrazioni, in Italia, del 150 anniversario della proclamazione dello Stato italiano unitario, a molti è venuto spontaneo parlare di Risorgimento arabo. Nessuno sa, in effetti, come andrà a finire. Come è noto, i grandi moti del 1848 in Europa si conclusero ovunque con l’iniziale affermazione della reazione. In Italia ci vollero dodici anni, si dovette arrivare allo straordinario biennio 1859-1860, prima che i patrioti risorgimentali vedessero realizzarsi i propri ideali. Chi ha una formazione liberale ha, comunque, fiducia nello spirito della libertà, la cui affermazione coincide con la causa dell’umanità, perché non ci può essere dignità umana nell’asservimento.
Si tratta di un fenomeno di enorme rilevanza storica. Rispetto al quale è sintomo d’inadeguatezza e di miopia non riuscire ad esprimere altro che la preoccupazione di contrastare i flussi migratori dal Nord-Africa. I quali non necessariamente hanno come traguardo il nostro Paese, ma, facilmente, lo attraversano, per il semplice dato della vicinanza geografica.
Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, con la sua abituale crudezza, ha sintetizzato la propria linea politica nell’espressione “foera di ball”. Quando un migliaio di migranti sono stati portati a Manduria, in Puglia, un esponente dello stesso Governo di cui Bossi è parte, il Sottosegretario al Ministero dell’Interno Alfredo Mantovano, si è dimesso dalla propria carica, spiegando che l’impostazione leghista significa “tutti al Sud” (1), ossia che tutti i centri di accoglienza dei migranti vanno allestiti nel Mezzogiorno d’Italia. In particolare, in Sicilia, Puglia e Calabria. Prima conoscevo Manduria soltanto come sede della Casa Editrice fondata da Piero Lacaita. Un luogo capace di produrre cultura, spesso alta cultura. Ora invece la località pugliese acquista rilevanza internazionale per le immagini della tendopoli recintata. Nessuno avrebbe piacere di essere trattenuto con la forza in una tendopoli recintata.
Non è successo per caso che tanti migranti siano stati costretti a sostare per giorni a Lampedusa, in condizioni che Organizzazioni umanitarie internazionali come “Medici senza frontiere” o “Amnesty International” hanno giudicato indegne di un Paese civile. Lo scopo era quello di comunicare ai mezzi di informazione di tutto il mondo e alle opinioni pubbliche dei Paesi del Nord-Africa che i migranti da noi non sono graditi. Quindi, è inutile che vengano, perché li tratteremo nel modo peggiore possibile. Pensate alle conseguenze di questa politica nella prospettiva futura. Pensate al carico di antipatia e di risentimento che si accumulerà contro l’Italia. Pensate a ciò che accadrà se gli amici degli stessi giovani Tunisini o degli stessi giovani Libici che oggi trattiamo peggio di come si trattano i cani randagi, prenderanno il potere nei loro Paesi. Allora forse se ne ricorderanno e ce ne chiederanno conto.
Pensate ad una futura Libia libera; che si ricorderà di quei governanti italiani affezionati al dittatore Gheddafi e addolorati per la sua sorte. Che paragonerà quanto hanno fatto la Francia ed il Regno Unito per impedire che le truppe di Gheddafi facessero un bagno di sangue a Bangasi, a quanto non ha fatto il Governo italiano, che anzi si è pubblicamente vantato di aver dato ai propri piloti l’ordine di non sparare in nessun caso.
La politica del respingimento immediato stride con quei valori cristiani ed umanitari di cui pure tanti si riempiono la bocca. Di fronte ad un’umanità sofferente, provata da una lunga navigazione su imbarcazioni inadeguate, non si può né si deve rispondere con brutalità. Invece che a Lampedusa, i migranti dovrebbero essere subiti condotti in grandi centri urbani, ove sia possibile fornire una prima assistenza immediata, con standards organizzativi accettabili. Qui non è in discussione il fatto che l’Italia non possa e non voglia ospitare stabilmente tutti coloro che intendono lasciare il continente africano. Il problema è un altro: è quello di attrezzarsi per dare, nell’immediato, risposte decenti ad una evidente crisi umanitaria. Il problema è anche quello dell’immagine internazionale dell’Italia. Che non sta facendo una bella figura.
I leghisti se ne fregano; ma noi che abbiamo a cuore il nostro Paese vorremmo subito cambiare musica e direttore d’orchestra.
La politica del respingimento immediato, oltre che disumana e anticristiana, non è una buona politica. Ci sono le possibilità e gli strumenti giuridici per fare altro. Ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro degli Affari Esteri ed altri ministri interessati, può, con proprio decreto, adottare “misure di protezione temporanea” dei migranti — cito testualmente la norma — “per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea” (2). Una volta dichiarata formalmente l’emergenza umanitaria, ne conseguirebbe automaticamente che la situazione diverrebbe rilevante per l’Unione Europea. Mentre oggi i leghisti, evidentemente digiuni di procedure giuridiche, vorrebbero accordi preventivi con i Paesi dell’Unione per suddividere, a priori e ragionando in via ipotetica, il numero dei migranti.
Quanto finora detto per Lampedusa ed i migranti Arabi è la più efficace introduzione possibile per comprendere quanto sia sbagliata un’impostazione che — in nome di un malinteso federalismo — disgrega l’unità nazionale, mettendo i territori l’uno contro l’altro e facendo appello agli egoismi. Regionalismo e campanilismo non sono di per sé virtuosi. Anzi, nell’Ottocento si sosteneva, giustamente, che occorresse superare la grettezza “municipalistica”. Lo stesso vale oggi nei confronti della grettezza “padana”.
NOTE:
(1) Virginia Piccolillo, intervista ad Alfredo Mantovano, titolata “Mantovano: non torno indietro finché resta la linea del «tutti al Sud»”, nel quotidiano “Corriere della Sera”, edizione del 2 aprile 2011, p. 5.
(2) Il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, reca il “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. L’articolo 20 citato, rubricato “Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali” riproduce le disposizioni dell’articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40.