di ILARIA PEDRALI
Nel complesso panorama del mondo mediorientale c’è una realtà che spesso sfugge alle cronache. Sono i coloni israeliani, coloro che abitano negli insediamenti della Cisgiordania. Non hanno nulla a che vedere con i popoli circostanti, hanno poco a che vedere anche con il resto degli israeliani che compongono la società laica e civile, ma anche loro, ieri sono scesi in piazza. O meglio, in strada. In quella che hanno deciso essere la loro “giornata della collera”. A indirla è stato Baruch Marzel, attivista dell’estrema destra nazionalista e religiosa.
Non hanno protestato contro la corruzione o contro la mancanza di riforme da parte dello stato come è stato per il popolo tunisino o egiziano, ma contro l’ordine di abbattimento di alcuni outpost. L’intento degli organizzatori delle manifestazioni di protesta, apparentemente era quello di dissuadere le autorità dal ripetere operazioni di demolizione di avamposti illegali in Cisgiordania. Lo scorso lunedì la distruzione di strutture, tende e roulotte, abusivamente insediate a Havat Ghilad, nei pressi di Nablus, era degenerata in scontri tra poliziotti e soldati da una parte e coloni dall’altra. Bilancio: 13 coloni feriti da pallottole di gomma sparate dagli agenti in reazione a una sassaiola contro di loro.
Da notare che queste proteste non erano state approvate dal Consiglio degli insediamenti in Cisgiordania.
Pneumatici bruciati alle porte di Gerusalemme e già dalla mattina la Road n.1, la principale strada che taglia Israele nel senso della larghezza e collega Tel Aviv a Gerusalemme, è stata bloccata da alcuni manifestanti a Latrun e la stessa sorte è toccata alla ferrovia nei pressi di Modi’in. E così la polizia ha posto in stato d’allerta le unità antisommossa. Ufficialmente nessuno è stato arrestato in relazione alle proteste, ma c’è chi dice di aver visto la polizia portare via una dozzina di persone.
Proteste anche in Samaria, a Hebron, nella zona di Ramallah. Scontri tra coloni e palestinesi sono continuati anche nella giornata di oggi. Nei dintorni di Nablus, forse una delle zone più calde, pare sia stato assaltato il villaggio di Qusra con il relativo sradicamento delle piantagioni di ulivo, una delle poche fonti di sussistenza della popolazione locale.
Nell’insediamento da cui tutto era partito, Havat Gilad, la situazione è parsa tranquilla ma alcuni giovani si sono già attivati per raccogliere i 75mila schekel, poco meno di 15mila euro, che servono alla ricostruzione dell’outpost. Si stima che entro domenica la cifra venga raccolta per intero. E allora, forse, si ricomincerà tutto da capo.