Gheddafi: Moreno-Ocampo apre l’inchiesta

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di ANTONIO PICASSO

Il Procuratore generale della Corte penale internazionale (Icc), Luis Moreno-Ocampo, ha aperto un’inchiesta per crimini contro l’umanità verso il colonnello Gheddafi e una ventina di suoi stretti collaboratori, tra cui suo figlio Saif-al-Islam. I raid aerei effettuati contro la popolazione civile, ordinati dal raìs, hanno mosso le Nazioni Unite almeno nell’ambito della magistratura. Si resta in attesa però che il Consiglio di sicurezza adotti una qualsiasi decisione in merito alla crisi del Paese nordafricano. Gli osservatori temono per la popolazione e per i pozzi petroliferi. Gheddafi, evidentemente consapevole di dover prima poi mollare la presa, non ha intenzione di lasciare la Libia avviata sulla strada della facile ripresa. È la tattica dell’avvelenamento dei pozzi.

In realtà l’iniziativa del Tpi ha scarse possibilità di raggiungere il fine sperato. L’organismo giudiziario è stato istituito nel 2002 e da allora ha incontrato sempre grandi difficoltà. I campi di inchiesta sono principalmente quattro: crimini contro l’umanità, di aggressione, di guerra e genocidio. Finora i suoi dossier avviati sono ancora tutti aperti. Nell’ambito delle altre Corti sotto l’egida dell’Onu, solo quella dell’ex Jugoslavia ha raggiunto alcuni risultati, sebbene parziali. L’ex Presidente serbo Slobodan Milosevic è deceduto, per cause naturali, in un carcere olandese nel 2006, mentre scontava la sua pena per i crimini commessi nel corso dei conflitti balcanici. Tuttavia, la Corte dell’ex Jugoslavia era stata creata ad hoc e oggi non rientra nel Tpi.

Attualmente tutte le altre esperienze di magistratura internazionale in campo penale restano in sospeso. La Corte penale per il Libano, anch’essa formalmente autonoma, era stata instaurata per far luce sull’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri, ucciso a Beirut nel 2005. Allo stato dell’arte, non ha ancora spiccato alcun capo d’accusa. Risultano in uno stadio appena più avanzato le inchieste relative alla guerra civile in Liberia, al Congo e al Ruanda. I processi nei confronti di Charles Taylor, l’ex presidente liberiano responsabile della sanguinosa guerra civile negli anni Novanta, e nei confronti del signore della guerra congolese, Thomas Lubanga, infatti, sono attualmente in corso. Stessa situazione per quanto riguarda il genocidio in Ruanda. Ancora diverso è il caso del Presidente sudanese Omar al-Bashir, incriminato sempre dal Tpi nel 2009. Qui siamo di fronte a un Capo di Stato saldamente al potere che, secondo la giustizia internazionale, potrebbe essere arrestato nel caso mettesse piede in un qualsiasi Paese che riconosce il Tpi. Ovviamente, essendo il Sudan membro della Lega araba nonché alleato di nazioni influenti in ambito Onu, quali la Cinae la Russia, Bashir riesce agevolmente a non essere intercettato dal procuratore Moreno-Ocampo.

In generale, va ricordato che il Tpi è riconosciuto da 114 Paesi sui 195 membri delle Nazioni Unite. È interessante notare quali siano i governi a non aver ratificato il Trattato di Roma, documento che ha dato vita al Tpi. Cina e Russia sono tra queste. Ben più rilevante è però l’atteggiamento di rifiuto al riconoscimento dell’organo giudiziario da parte degli Stati Uniti. La scelta di Washington è sempre stata fonte di accese polemiche a livello internazionale. Una delle più solide e antiche democrazie del mondo continua a mantenersi su posizioni tanto contradditorie per quanto riguarda la giustizia Onu. La questione Gheddafi diventa esemplare. La mancata ratifica Usa del Tpi indebolisce quest’ultimo, in termini politici e operativi e rischia, con alte probabilità, di impedire la conclusione positiva dell’inchiesta appena avviata. Risulta scontati ricordare che nemmeno la Libia riconosce la legittimità del Tpi. A questo punto, forse appare più incisiva la decisione dell’Ue di congelare tutti i beni della famiglia Gheddafi conservati nelle banche europee. La sola Austria ha dichiarato di aver bloccato 1,2 miliardi di euro. Se il colonnello non può essere arrestato, per lo meno è possibile bloccarne il portafoglio.

Pubblicato su Il Riformista del 4 marzo 2011

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