di DOMENICO MACERI
Le vittorie dei democratici dovrebbero tradursi in programmi favorevoli per i lavoratori rappresentati dai sindacati ma in realtà dovranno lottare per non perdere terreno durante questa crisi economica. Il bilancio statale della California prevede un deficit di 25 miliardi di dollari che il neoeletto governatore vuole colmare mediante tagli ma anche con l¹estensione di alcune tasse. Né i tagli né le tasse sono “medicine dolci”. I tagli si aggiungono a quelli già effettuati da Arnold Schwarzenegger, ex governatore, e l¹estensione delle tasse ha un lungo cammino da fare.
Brown ha promesso durante la sua campagna elettorale che non aumenterebbe le tasse senza l’approvazione dei cittadini. Il suo piano è di chiedere alla legislatura di dare la porta aperta al referendum che gli elettori dovrebbero poi approvare ultimamente. Nessuno dei due passi è assicurato.
Nonostante la loro maggioranza alle due camere i democratici hanno bisogno di alcuni voti repubblicani per raggiungere il due terzi necessario. Incerto è anche il susseguente esito alle urne anche se alcuni sondaggi suggeriscono che l’estensione degli aumenti alle tasse otterrebbe una maggioranza di consensi.
Tagli molto più seri sarebbero effettuati se le tasse non dovessero essere approvate. Ecco la minaccia del nuovo governatore.
In effetti, nonostante le vittorie dei democratici nel Golden State, i repubblicani continuano a esercitare una forte influenza a frenare gli aumenti delle tasse che ridistribuirebbero in lieve misura le risorse finanziarie dagli abbienti alle classi più basse.
I sindacati e le loro pensioni sono i bersagli principali dei repubblicani che li considerano insostenibili. Troppo generose queste pensioni secondo i repubblicani. Newt Gingrich, ex presidente della Camera, ha persino suggerito che gli Stati dovrebbero dichiarare bancarotta per abrogare questi contratti con i sindacati.
La retorica repubblicana ha convinto non pochi californiani ed anche americani che gli impiegati statali ricevono troppi benefici in comparazione a quelli che lavorano per le aziende private. Non pochi studi però hanno rilevato che se si considera la preparazione accademica degli impiegati del governo la differenza sfuma.
La differenza è che mentre le aziende private spesso possono andare a bancarotta e quindi non pagare le pensioni ai loro lavoratori, gli Stati ed il governo non hanno preso quella strada.
I sindacati sono in un certo senso colpevoli di non avere sottolineato nelle loro campagne che i benefici dei loro soci non solamente non permettono di vivere in modo opulento ma che bisognerebbe aumentare anche quelli dei cittadini che non sono membri dei sindacati. L¹idea sarebbe di migliorare la vita economica di tutti i lavoratori.
In un certo senso i sindacati lo fanno ma indirettamente ed in modo che molti non se ne accorgono. Il concetto della settimana lavorativa di quaranta ore, per esempio, esiste per le pressioni dei sindacati che è eventualmente stato accordato a tutti. Inoltre, se una azienda è costretta ad aumentare gli stipendi dei suoi impiegati membri del sindacato, ciò mette pressione anche a quelle aziende i cui lavoratori non sono rappresentati da sindacati a fare lo stesso.
Ma il potere dei sindacati negli Stati Uniti continua a diminuire. Nel 2009 solo il 12,3 percento dei lavoratori americani faceva parte di un sindacato.
Nel 2010 la cifra è scesa all’11,9 percento.
La riduzione del potere dei sindacati è dovuta in parte al fatto che i lavoratori non vedono la necessità dei sindacati. La retorica della destra è riuscita a dipingere i sindacati come parte del problema della crisi economica. Quando i membri dei sindacati sono attaccati tutti i lavoratori e le classi meno abbienti soffriranno le conseguenze.
* Domenico Maceri, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria,California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.