Riduciamo i rifiuti per poter decidere come gestirli

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di MARTINA CECCO

Da qualche anno a questa parte anche l’Italia ha deciso di affrontare il problema dei rifiuti e dello
smaltimento delle sostanze di scarto
, organiche, multi materiale, che ogni giorno, anche con tutta la
buona volontà, siamo costretti a produrre. Sia direttamente che indirettamente, cioè anche se sfruttiamo
ristorazione e mense, produciamo delle sostanze di scarto, che derivano dal modo in cui il mercato è
costretto a vendere il proprio prodotto, cioè confezionato e imballato, al punto che è logico affermare
che non si possono mettere in discussione le grandi linee del sistema per cui si acquista e si vende un
prodotto alimentare, insomma .. non possiamo più pensare di tornare all’Eden dove il frutto si raccoglieva
dall’albero, questa è cosa ovvia.

Tuttavia la criticità di alcuni dei nostri centri urbani nazionali, citare Napoli è emblematico, facile ma anche scontato, costringe a una riflessione: non solo questo centro urbano ha dei problemi, ce ne sono altri che hanno delle grosse difficoltà con lo smaltimento dei rifiuti, anche se non sono città che salgono alla ribalta delle cronache, forse perché non conviene o non vale la pena parlarne.

Da persone attente ai problemi che ci circondano, non possiamo però chiudere gli occhi, almeno non tutti e due gli occhi, per capire, a conti fatti, che con un po’ di sforzo ci sono parecchie possibilità per migliorare la situazione dei quartieri in crisi, cominciando anche a modellare il comportamento quotidiano sulle necessità che l’ambiente circostante ci presenta, perché si sa, la vita presenta sempre il conto prima o poi.

Si parla tanto della riduzione degli imballaggi, come prima strategia per ridurre la produzione di rifiuti, ed è strategia vincente certa, sia per i negozianti che per i consumatori: avere in casa tra le “scatole” la quantità minore di imballaggi e di sporcizia possibile, è sempre gradito, anche perché portare la spazzatura tutti i giorni è davvero un fatto noioso e poco divertente.

Però non è solo questo il percorso giusto, a mio parere, da scegliere, il motivo è il seguente: già i dati dimostrano come sia possibile, con il supporto della politica, arrivare a una raccolta che differenzi il più possibile i materiali e che recuperi gli scarti e gli imballaggi che provengono da .. ovunque .. scatole, barattoli, bottiglie, organico, abbigliamento, materiali da costruzione, elettronica e così via. Se poi la collaborazione con chi si occupa della gestione delle raccolte di rifiuti urbani iniziasse, allora ci accorgeremmo che non solo i quartieri sono più puliti, ma che anche il nostro stile di vita si adatterebbe più volentieri a una specie di rigore indotto, quel rigore che viene dalla certezza di ottenere dei risultati e di raggiungere degli obiettivi.

Perché questo ragionamento? Il mio pensiero è volto a pensare che differenziando il recuperabile e riducendo al minimo il non riciclabile, l’alternativa di chiudere le discariche per installare degli impianti di termovalorizzazione, che producono a loro volta energia, sia la migliore delle alternative possibili, trattandosi cioè di limitare il danno, limitare l’inquinamento, chiudere le discariche e convertirle in impianti attivi, cioè che recuperino per l’ennesima volta i nostri rifiuti peggiori e ne facciano qualcosa che serve. Questo perché pensare a macerie e cumuli di materiale inerme e senza vita, oltre che inquinato e inospitale, mi crea un senso di moribondaggine sociale che non ha altri paragoni, anche un discreto e educato depuratore ha maggiore dignità di una discarica, tesoro per ratti e animali sgraditi.

Motivo per cui mi piace pensare che la ipotesi per la produzione di energia, che esce in kWh, che affronta nel suo piccolo il problema energetico, possa essere percorribile anche nelle grandi città, si pensi che in metropoli urbane come Vienna e Parigi questo già viene fatto; con una valutazione sul tipo di impianto a minor impatto ambientale, cioè con il minore rilascio di sostanze sgradite come diossina e fumi, con la separazione delle ceneri per renderli inermi, la ipotesi di trasformare radicalmente la mentalità della discarica come fine ultimo delle immondizie, diventa piacevole.

In paesi come Olanda e Belgio, il recupero di organico e di materiali ai fini della produzione energetica (recuperano anche lo sterco e producono energia dalle piastre di camminamento delle stazioni) è una linea di pensiero che si è affermata già dagli anni novanta, ma più in generale già nelle società meno evolute economicamente rispetto alla nostra si pratica il recupero delle sostanze di rifiuto domestico, senza farne troppi pensieri, mi chiedo come mai serve arrivare al punto di avere cumuli di immondizia per le strade, per ragionare sul fatto che è innaturale pensare al rifiuto come qualcosa da impaccare e lasciare lì, alla periferia della città, come se anche quel pezzo di terra fosse qualcosa che non ci riguarda.

Anche pensando a modelli urbani alternativi a quelli occidentali, vale la pena dirlo, si trova il concetto di discarica e il problema della diffusione delle discariche mal controllate, esattamente nelle stesse città in cui il degrado ambientale è parallelo al degrado del potere politico e di conseguenza anche al declassamento della dignità sociale delle persone che vivono in queste grandi metropoli. Aprire gli occhi sulle città del resto del mondo dove vi sono problemi di questo genere, ha una immensa utilità per aprire
altrettanto gli occhi sulla natura del problema dello smaltimento dei rifiuti in sé: insomma, dove c’è meno attenzione per la immondizia, se guardate bene, c’è anche meno attenzione per la qualità della vita in generale delle persone che vi abitano. Per questo motivo il problema non va per niente sottovalutato, perché è la cartina tornasole di quanto la politica si interessa ai suoi cittadini, è la interpretazione di un modello sociale e urbano ed è la risposta, anche economica, con quanto valgono a tutt’oggi le imprese per lo smaltimento dei rifiuti, a tutta una serie di domande su cui, a pensarci, si aprirebbe una voragine.

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