Referendum Mirafiori: non è questione di galateo consociativo

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di RAFFAELLO MORELLI

***AGGIORNAMENTO***

Secondo i risultati noti del voto di Mirafiori, il SI all’accordo ha ottenuto 2.735 suffragi contro 2.325 e 59 bianche. Sotto il profilo democratico, è un successo non piccolo della ragionevolezza. Così diminuisce parecchio la preoccupazione di fronte alle sfide oggettive poste nel settore auto dalla globalizzazione. Ed è anche una conferma di almeno due cose. Una è che l’idea di rivedere le relazioni industriali pensando a quelle esistenti al momento e non a quelle del passato, può prevalere solo se se chi la condivide si impegna a sostenerla in ogni ambito, siccome non c’è alcun automatismo. L’altra è che è sempre lunga via perché la responsabilità individuale nel dare giudizi dipenda dalla personalità di ciascuno e non dal suo tipo di impiego. Infatti, il SI ha vinto tra gli operai per soli 9 voti (una tipica incollatura) e in modo plebiscitario tra gli impiegati. Una circostanza del genere non va trascurata per comprendere quel che provano gli operai, anche se l’esperienza pluridecennale ha dimostrato che questo non consente interpretazioni in termini di classe. Insomma, a Mirafiori ha fatto un passo avanti la capacità di rispondere alla globalizzazione, ma il confronto internazionale non consente di allentare l’impegno al realismo critico per il cambiamento.

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Fra qualche ora sapremo il risultato del referendum a Mirafiori e si potrà commentare. Peraltro alcune questioni emblematiche vanno rilevate subito. Prima di tutto, è negativo per la convivenza che in una disputa sindacale venga tirato in ballo il fantasma dell’attentato alla Costituzione. Perché è un fantasma giuridicamente inesistente. E perché una simile tesi nega la normalità dei paesi avanzati, il conflitto nelle regole tra interessi contrapposti.

Il fantasma è inesistente perché l’esclusione di chi non firma il contratto alla nomina delle Rappresentanze Sindacali, non è un attentato, è solo applicare l’art.19 dello Statuto dei Lavoratori, secondo cui “rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”. Questo vale dal 1995, dopo il ritocco referendario con sei milioni di voti di scarto. Ed inoltre quel fantasma corrisponde all’elevare la concertazione a diritto di veto di uno dei contraenti mentre il conflitto nelle regole è cosa del tutto diversa, un confronto tra punti di vista differenti sul come produrre, avendo un metro difficilmente eludibile, quello della realtà.

Proprio sul punto della realtà, la vicenda Mirafiori ha messo in mostra l’incapacità di rispondere alla globalizzazione. La linea Marchionne ha innescato nei rapporti industriali un cambio di clima rispetto a sistemi produttivi non in grado di stare al passo della globalizzazione. Ora è legittimo mostrare preoccupazione per il nuovo stato di cose. Solo che non va affatto bene restare alla dispiaciuta nostalgia per il vecchio sistema che viene spazzato via e non cercare risposte adeguate alle problematiche emergenti.

La cosa davvero preoccupante di Mirafiori è che, durante una crisi economica non banale e perdurante, sindacati emblematici (non solo quello di categoria) e gruppi della sinistra rilevanti abbiano reagito solo con il no di principio ad una proposta di investimento molto consistente, corredata da condizioni insolite per gli usi italiani ma di per sé non inedite né prive di efficacia rispetto alla questione produttività. Questa non è solo una considerazione liberale. E’ l’icastica dichiarazione di Chiamparino (Sindaco ex PCI) del dirsi esterrefatto per il rifiuto di un investimento che in tutto il mondo avrebbe fatto costruire ponti d’oro al suo proponente. Insomma davvero preoccupante è la resistenza a rivedere le relazioni industriali. Specie quando lampeggia la ripresa dell’inflazione, che è una tassa sui più deboli e dovrebbe impensierire la sinistra che vorrebbe rappresentarli.

D’altra parte è preoccupante anche il ponzio pilatismp della Confindustria, la quale nella lunga vicenda Fiat è sembrata spesso ignorare che i contratti aziendali non sono una questione di galateo consociativo. Sono in gioco i rapporti economici tra imprenditori e svariati lavoratori e quindi non possono scomparire né il diritto di scelta del singolo lavoratore né il diritto di valutazione degli imprenditori. In un mondo globalizzato non si difende l’interesse dei datori di lavoro e tanto meno quello del paese cianciando sulla necessità di mutamento e poi assecondando le resistenze conservatrici a qualsiasi mutamento reale.

Attendiamo i risultati. Certo è che, al di là del voto, i liberali ritengono indispensabile battere l’immobilismo che aleggia nel paese. Ovunque.

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