di LUCIANO NOBILI
Nell’era della comunicazione si rischia di passare alla storia per una battuta piuttosto che per l’encomiabile lavoro svolto per decenni al servizio del paese. Nei ricordi di questi giorni, Tommaso Padoa Schioppa è stato più di ogni altra cosa il ministro delle «tasse bellissime», mentre invece andrebbe ricordato per la capacità di rimettere in ordine i conti dello stato e per gli strumenti innovativi ed efficaci impiegati nella lotta all’evasione. Nel ricordo di molti tra i miei coetanei purtroppo è rimasto il nemico dei “bamboccioni”, senza tener conto dell’impegno che ha profuso, anche combattendo all’interno del governo di cui faceva parte, per gli interessi di quel 68 per cento di under 35 che, secondo l’Istat, rimangono in casa con la famiglia. Voleva combattere le ragioni che impediscono di uscire di casa, non certo difenderle.
È persino stucchevole, ormai, ricordare le molteplici ragioni di questo fenomeno certamente preoccupante in un’Italia che, ogni giorno di più, non è un paese per giovani.
Ogni ambito di “potere” – nella politica come nell’impresa, nei media o nelle professioni – è precluso agli oltre ventisette milioni di italiani che non hanno compiuto quarant’anni.
L’impalcatura del nostro welfare ha ormai generato un vero e proprio apartheid generazionale: da una parte i garantiti e i pensionati, dall’altra i tantissimi che non riescono a costruire un futuro, che ormai non immaginano neanche più l’emancipazione dal nucleo familiare.
Non riescono a trovare lavoro, fanno la spola tra impieghi sempre più saltuari e precari, ricorderanno la pensione come un privilegio dei bei tempi andati. È un sistema che non regge più, un patto generazionale profondamente iniquo e miope, il cui peso è tutto sulle spalle delle generazioni più giovani.
Ho avuto la fortuna di conoscere Padoa Schioppa nell’autunno del 2007. Il governo Prodi era alle prese da alcuni mesi con la discussione, imposta dalla sinistra “vendoliana” sull’abolizione dello “scalone”, inserito nel sistema previdenziale dal ministro Maroni nel precedente governo Berlusconi. Una misura probabilmente iniqua per qualche migliaio di italiani “garantiti”, la cui cancellazione avrebbe prodotto un’ingiustizia ben più grave: oltre dieci miliardi di euro da pagare negli anni successivi.
Le mani nelle tasche di chi forse una pensione non ce l’avrà mai. Il governo, alla fine, come ricorderete, decise di procedere a quell’abolizione e organizzò una serie di incontri con le parti sociali per discutere il provvedimento. Ad uno di questi furono chiamate le principali associazioni giovanili del paese e le organizzazioni young dei partiti della coalizione di governo. Ero il coordinatore dell’esecutivo nazionale dei Giovani della Margherita all’epoca e ricordo l’emozione del varcare per la prima volta il portone di Palazzo Chigi. Ricordo i corridoi con i ritratti dei presidenti del consiglio di sessant’anni di storia repubblicana e la mitica “sala verde”. Di fronte a noi c’erano Enrico Letta, Cesare Damiano, Giovanna Melandri e appunto, Tommaso Padoa Schioppa che, per mia fortuna, si sedette proprio di fronte a me. Non ci crederete, ma ad esclusione dei rappresentati del futuro Pd, nessuno, ripeto nessuno, si lamentò della misura. Tutti giudicarono positivamente i pochi spiccioli che il ministro Melandri metteva sul tavolo per le giovani generazioni (intendiamoci ottime cose: a partire dal riscatto degli anni della laurea, ma gocce nel mare rispetto ai costi dell’abolizione dello scalone) e ragionarono di quanto fosse importante quella norma nel quadro di un bel patto generazionale tra padri e figli nel nostro paese. Sembrava un teatrino in cui tutti parevano più interessati a ripetere le parole d’ordine dei propri movimenti politici prima che considerare le ingiustizie subìte dalla propria generazione. Padoa Schioppa scuoteva la testa e alla fine fu proprio lui a fare l’intervento più severo verso quella misura e al termine dell’incontro confidò che sperava di trovare un po’ di “sponda” tra i giovani nel contestare quella spesa: «Pensavo di sentire voci contrarie, ma se a voi va bene così… » disse sconsolato. Nel suo sguardo c’era delusione. Per una generazione incapace di difendere il proprio futuro.
È un problema altrettanto grave per l’Italia: una generazione di giovani che è incapace di percepirsi tale, che dovrebbe dar vita ad un grande “sciopero generazionale” e che invece si lascia imbrigliare nella discussione sui violenti del 14 dicembre.
Che rischia di confondere i nemici del suo futuro e che sembra incapace di guardare la realtà dei problemi.
Quindi, per favore, almeno nel momento della scomparsa di un grande economista, di un appassionato civil servant non facciamogli l’ingiustizia di ricordarlo come un nemico dei giovani italiani. Tra i pochi uomini di governo che, negli ultimi anni, hanno avuto a cuore il futuro e non solo le contingenze, che hanno tentato di costruire politiche con lo sguardo lungo, c’è certamente Tommaso Padoa Schioppa.
E i tanti, tra quelli che hanno più o meno la mia età che non se ne sono accorti e poi magari sfilano con la Cgil o finiscono con il difendere lo status quo, nel mondo del lavoro o in quello dell’università, ciechi ai loro interessi, forse un po’ “bamboccioni” lo sono davvero.
è un piacere averti tra noi, Luciano
Grazie! E’ un onore essere su liberal cafè