«Cinque eroi dell’Islam sono entrati in azione per salvare i nostri fratelli dall’apostasia». È con queste parole che ieri al-Qaeda in Mesopotamia ha rivendicato l’attentato di domenica contro la chiesa caldeo cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione a Baghdad. Da questo punto di vista, si tratta di un passo avanti. Visto l’elevato grado di violenza che sta gravando sul Paese, la rivendicazione del gruppi jihadista fuga i dubbi che l’attacco sia stato perpetrato da bande di delinquenti comuni, oppure tribù ribelli che le autorità non riuscono a tenere a bada.
L’operazione terroristica e il blitz effettuato dalla polizia irachena hanno provocato la morte di circa settanta persone, tra loro vi erano tra sacerdoti. Si tratta del massacro più pesante mai registrato in seno al cristianesimo iracheno dall’inizio della guerra nel 2003. Nel comunicato trasmesso dai mujaheddin, si legge inoltre che l’elevato numero di vittime sarebbe stato causato dall’intervento delle teste di cuoio di Baghdad. «La Polizia ha provocato il panico tra i fedeli – si legge ancora nella nota del gruppo jihadista – e non c’è stato altro che una sparatoria dove sono stati colpiti tutti in modo indiscriminato. Lo scontro è durato cinque ore e ha visto la partecipazione degli elicotteri dell’esercito Usa».
La paternità dell’attentato si confonde con questa parziale declinazione per quanto riguarda l’elevato numero di morti. Al-Qaeda vuole che le si riconosca la mossa di aver occupato la chiesa e preso in ostaggio le persone che in quel momento vi si trovavano in preghiera. Tuttavia, non si attribuisce le responsabilità dello spargimento di sangue. È la prima volta che il gruppo terroristico non esulta per una sua vittoria ottenuta a 360 gradi. Ed è anche la prima volta che emerge una contraddizione di questo genere. Non è escluso che anche il governo iracheno dovrà rispondere dello svolgimento della vicenda. Il fatto che i terroristi abbiano parlato dell’intervento degli Usa fa pensare che il massacro non sia stato perpetrato unicamente (e impropriamente) in nome di Allah. Fosse stato così, al-Qaeda l’avrebbe dichiarato fin da subito. È triste da dire, ma non si può escludere che la maggior parte dei morti sia attribuibile al caos generato dal blitz. L’esempio di Beslan, in questo caso, può insegnare qualcosa. Era l’inizio di settembre 2004, quando un gruppo di terroristi ceceni, anch’essi vicini ad al-Qaeda, prese in ostaggio 1.200 persone all’interno di un istituto scolastico nell’Ossezia del Nord (Russia). L’intervento armato voluto direttamente dal presidente Putin causò una strage di 386 morti, dei quali 186 erano bambini. Oggi come allora, l’avventatezza della polizia può aver scatenato la furia omicida dei terroristi.
In generale, il Paese è sprofondato nel baratro. A due mesi esatti dal ritiro del contingente statunitense, la situazione appare deteriorata in modo significativo. L’Assemblea nazionale si è riunita solo una volta, dall’avvenuto rinnovamento con le elezioni di marzo. Il governo al-Maliki, screditato dagli elettori, rifiuta qualsiasi possibilità di creare un esecutivo trasversale, che veda la partecipazione della componente sunnita ed eventualmente delle altre minoranze. D’altra parte, il movimento Iraqiya, di estrazione appunto sunnita, ha raggiunto un accordo con altri gruppi sciiti e con i kurdi. Stando ai calcoli, questa grande coalizione potrebbe governare mettendo da parte al-Maliki. L’attuale premier, tuttavia, risulta utile in quanto è l’uomo di fiducia (sic!) degli Usa e anche di altri governi stranieri, vedi l’Iran. Da qui il vuoto di potere, l’ingovernabilità e gli spazi creati per un ritorno di violenza nelle strade del Paese. Nel frattempo infatti, il conflitto è tornato a mietere vittime.
La triste novità è che adesso lo scontro ha assunto una palese identità etnico-religiosa. Non c’è dubbio che il vuoto lasciato dagli Usa è tornato vantaggioso per le forze jihadiste del Paese. Un vuoto, questo, di tipo militare, ma anche politico. Washington ora è completamente distratta dalle elezioni di metà mandato e comunque è l’Afghanistan ad aver preso il sopravvento. Addio surge, quindi. Con il rischio però che l’Iraq diventi una specie di Somalia nel cuore del Medio Oriente.
Pubblicato su liberal del 4 novembre 2010