di Zamax
Dalla fine della seconda guerra mondiale – è passata la bellezza di 64 anni ormai – la sinistra italiana ha avocato a sé l’esclusiva della democraticità e della legalità nel nostro paese. Stante la fragilità assoluta delle fondamenta democratiche e liberali della dottrina marxista, comunque oscuramente sentita anche se non confessata, v’era nella sinistra una necessità quasi fisiologica di usare una retorica violenta diretta a colpevolizzare preventivamente gli avversari politici in modo da allontanare ogni discussione politica e culturale dal quel nocciolo ideologico. Con la caduta del comunismo, ancorché indebolita, essa è rimasta ancora forte, soprattutto in quelle roccaforti rosse tosco-emiliane, ex zoccolo duro – non a caso – del consenso al regime durante il ventennio fascista, dove la schizofrenia rosso-nera è tuttora una malattia endemica. La nascita del Partito “Democratico” è perfettamente comprensibile in quanto consente di mantenere tale mentalità e tale retorica intatta. Il vecchio PCI si considerava il garante della democrazia italiana: così con Togliatti, così con Berlinguer, così nelle sue varie trasformazioni succedutesi alla caduta del Muro. E’ questo il filo rosso giacobino che ha unito la sinistra durante tutto questo tempo, il suo gattopardismo politico-culturale, dal quale non sa uscire.
E oggi, nell’anno di grazia 2009, il povero ex-democristiano completamente addomesticato Franceschini che fa? Sbatte i pugni bambinescamente sul tavolo e strilla: “Noi siamo la democrazia! Noi siamo la legalità!” e giura su una Costituzione che è divenuta una specie di Religione del Libro, una specie di Corano del bigottismo laico-repubblicano. Non contento, l’emiliano-romagnolo Dario Franceschini si sente in dovere di ringraziare la sua Ferrara, “per la sua tradizione civile, democratica e antifascista”, dimenticandosi ingenerosamente dei meriti di quella “fascista”, seconda a poche in Italia. E lancia un accorato appello: “Non è il momento della delusione, dell’astensionismo o del disimpegno è il momento in cui tutti gli italiani che credono nei valori condivisi che hanno fatto nascere la nostra Costituzione, dall’antifascismo e dalla resistenza, in modo pacifico, civile e democratico comincino una lunga battaglia per difendere la democrazia italiana”. Ecco, non vorremmo che via via accalorandosi fra non molto il neo-segretario cominciasse a predicare alla stregua del suo compatriota emiliano-romagnolo Alberto Franceschini di qualche decennio fa, quando fu fra i fondatori dell’allegra combriccola delle Brigate Rosse, pure quella votata a ripristinare la democrazia nell’Italia della “resistenza tradita”.
E così il popolo di sinistra continua nel suo sempre meno gratificante onanismo collettivo da autocompiacimento democratico, rinnovando periodicamente l’allarme contro il fascismo di ritorno: contro “la legge truffa” quando Berlusconi era De Gasperi; contro il “golpe”, contro le “stragi di Stato”, quando Berlusconi erano i vari notabili democristiani al governo; contro i “ladri” o i “mariuoli” socialisti quando Berlusconi era il cinghialone Craxi. Tutti quanta la serie dei “Berlusconi”, alcuni dimenticati, alcuni ancora indicati al pubblico ludibrio, alcuni – riveduti e corretti, e soprattutto morti stecchiti – riammessi nel pantheon democratico. Ma ormai l’Italia è come un mulo che non sente più le bastonate e che si fa ammazzare piuttosto che andare avanti per quella strada. Non sarebbe ora di finirla con questo infantilismo?
[…] [pubblicato anche su Liberalcafè] […]