Il Governo di Salerno, ovvero il primo governo postfascista

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di GIUSEPPE LAMEDICA

Stavolta segnalo un sito web. Si tratta del sito che ha pubblicato le riviste di Benedetto Croce.
La lodevole iniziativa è ascrivibile all’Università La Sapienza e alla Fondazione “Biblioteca Benedetto Croce” di Napoli.

Navigando tra i vari saggi scritti soprattutto da Benedetto Croce, oltre che da Giovanni Gentile, Guido de Ruggiero e Adolfo Omodeo si assapora il tempo andato. Almeno per me che mi sento un uomo del ventesimo secolo, li ritengo miei contemporanei, anche se sono cresciuto, differentemente da loro, nella seconda parte del secolo.

Dicevo che navigando ho recuperato una piccola parte del famoso diario di Benedetto Croce pubblicato in alcuni numeri dei “Quaderni della CRITICA” che ha costituito il saggio intitolato “Quando l’Italia era tagliata in due” pubblicato nella raccolta laterziana “Scritti e discorsi politici (1943-1947)”del 1963 (Già edito nel 1948 in un volumetto, sempre da Laterza, di 164 pagine con un’appendice di alcuni documenti posseduti dal Croce, attinenti al tentativo per la formazione in Napoli di un corpo di volontari italiani).

La stagione alla quale appartiene quanto raccontato dal diario è la stagione dei primi atti della transizione al postfascismo, atti attribuibili ai nuovi partiti.

Due erano i problemi che affrontavano in una Italia tagliata in due. Da un lato non volevano avallare l’azione del gabinetto del generale Badoglio e dall’altro tentavano di indurre il re Vittorio Emanuele III ad abdicare. Volevano recidere la continuità del regime, anche se il Duce non lo rappresentava più.

Nel “regno del sud” la figura di Benedetto Croce era il faro della rinascita democratica dopo che aveva costituito un riferimento liberale durante il regime mussoliniano. Croce si adoperò a recidere i legami del gabinetto Badoglio con il regime illiberale in disfacimento. Il rimpasto dell’aprile 1944 (il cosiddetto “governo di Salerno”), che ha visto l’ingresso degli esponenti liberali, demolaburisti, democristiani, socialisti, comunisti ed azionisti, è stato il primo atto politico dei nuovi partiti. Nel contempo Croce, per salvare l’istituzione monarchica e riallacciare i legami con la vecchia Italia “liberale”, legami infranti dal ventennio fascista (semplice “parentesi”, era ritenuta dal Croce), sostenne la necessità dell’abdicazione del re con rinuncia del principe ereditario e la trasmissione dei poteri al nipote sotto un Consiglio di reggenza presieduto da Badoglio. Sappiamo, invece, che De Nicola, altro grande esponente liberale e prossimo capo provvisorio di Stato, riuscì a convincere il Re a rinunziare al trono lasciando al figlio la luogotenenza.

Non sapremo mai se il percorso indicato da Croce avrebbe salvato l’istituto monarchico e riannodato i fili con l’Italia “liberale”, sappiamo che alla luogotenenza seguì la Repubblica che non ha saputo tagliare del tutto i fili con il regime precedente.

Il contributo di Benedetto Croce alla costituzione di un partito liberale (o meglio “di” liberali, non essendo il liberalismo una ideologia ma una teoria politica dell’azione pratica) è stato fondamentale. Si legge nel suo diario “Stamattina, nel destarmi, meditavo su quanto mi sta accadendo. Ho lavorato a dare chiari e saldi concetti su quel che è liberalismo, purgandolo non solo da miscugli democratico-demagogici che aprono la via alle dittature, ma da’ tendenze conservatrici e riportandolo alla pura tradizione del Cavour, che non era un conservatore ma un radicale; ed ecco che mi è stato contrapposto un intruglio di colorito liberale ma di realtà comunistica o, a ogni modo dittatoriale, che, non osando chiamarsi apertamente socialismo e socialismo rivoluzionario, ha adottato il nome di Partito d’Azione.”

Questo giudizio negativo nei confronti del P.d’A. non gli ha impedito di sollecitare il caro amico Adolfo Omodeo ad aderirvi (quasi quale antidoto autenticamente liberale) e a sostenere l’assegnazione del ministero dell’Istruzione contro le pretese clericali del partito democristiano. Il che prova cosa significa considerare gli altri partiti come “avversari” piuttosto che “nemici”.

In altra parte del diario scrive: “Mi sono recato poi a casa dei Morelli e di là alle 15,30 alla sede del Partito liberale, dove avevo promesso di rispondere alle obiezioni e sollecitazioni di un gruppo di soci, smaniosi che il partito liberale salga anch’esso all’altezza degli altri tutti e pubblichi il cosiddetto a programma economico e non si chiuda nell’«agnosticismo », ecc. ecc. Non è facile, e anzi è quasi impossibile, far entrare nella mente della gente, e specialmente dei semicolti o dei troppo facondi avvocati, la semplice verità: che altri partiti fanno programmi economici perchè sono essi stessi sostanzialmente «economici» (se siano poi programmi seriamente meditati e attuabili è un altro conto), e non già politici o etico-politici , com’è il Liberale, al quale dal suo stesso principio e dal congiunto suo metodo è vietato di anticipare ciò che realmente dev’essere risultato della libera discussione e votazione.”

Quindi aggiunge: “Il partito liberale non accetta e non nega a priori nessun provvedimento economico e sostiene in concreto quello che, in concreto e nelle condizioni date, promuove, e non già deprime, la libertà e la vita morale e civile.”

Questo è solo un assaggio del liberalismo di Benedetto Croce, ma già da queste parole si può misurare il limite del suo liberalismo. Era un uomo di quel tempo, un tempo in cui il Mercato era apprezzato dagli economisti e non certo dai filosofi.

A questo link troverete ancora molto altro: BENEDETTO CROCE “QUANDO L’ITALIA ERA TAGLIATA IN DUE” , sito web, 2010

SOMMARIO1. Estratto da Quaderni della “CRITICA” marzo 1947, n. 7 – 2. Estratto da Quaderni della “CRITICA” luglio 1947, n. 8 – 3. Estratto da Quaderni della “CRITICA” novembre1947, n. 9

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