di THOMAS MARGONI*
Ha vinto Youtube. La sentenza del tribunale ha dato ragione agli avvocati di Youtube, i quali sostenevano che fosse proprio Viacom ad effettuare l’upload dei video di proposito, per poi accusare Youtube di avere violato la legge sul copyright.
Già da qualche tempo, circolava voce che circa la metà dei video di Youtube fossero di provenienza Viacom. Anzi, il numero di video di provenienza “sospetta” veniva aumentato ad arte da Viacom proprio per ingigantire la causa in corso.
Come sottolineato da Zahavah Levine di Youtube, l’opera truffaldina durava da anni e per farla funzionare a dovere, Viacom aveva ingaggiato addirittura 18 agenzie di marketing e si era servita di impiegati che effettuavano gli uploads da computer di aziende terze, per mascherare la vera origine.
Lo stesso personale di Viacom non era più in grado oramai, data l’ingente mole di video in questione, di effettuare un inventario completo di ciò che era “passato” a Youtube.
I video venivano rovinati appositamente per sembrare rubati, e venivano postati facendo uso di indirizzi e-mail fasulli. La causa intentata da Viacom contro Youtube e il suo proprietario Google presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il distretto Sud di New York, ammontava a più di 1 miliardo di dollari; i video dei quali Viacom reclamava l’illecita distribuzione erano circa 160.000.
Nella sua difesa, Youtube ha asserito di essersi subito conformata al Digital Millennium Copyright Act del 1998, ed ha aggiunto di essere in prima linea contro le violazioni del copyright, aiutando le società detentrici ad identificare e rimuovere i contenuti considerati illegali.
Youtube sosteneva inoltre, e la sentenza le ha dato ragione, che il Digital Millennium Copyright Act e il senso comune riconoscono che sono i proprietari dei contenuti, e non i servizi come Youtube stessa, nella posizione migliore per stabilire se un video specifico è o meno autorizzato ad essere ospitato in una piattaforma di servizi online. Già la precedente sentenza sul caso Veoh era andata in questa direzione.
Va detto che in Italia, c’era stato il precedente abbastanza clamoroso della sentenza contro Google, ritenuta colpevole, nella persona di tre dirigenti, di essere corresponsabile della diffusione di un video su un ragazzo maltrattato a scuola. In questo senso, sono da fare delle considerazioni che attengono anche e soprattutto al buon senso: in ogni ora della giornata, Google carica 1200 ore di materiale e, se si volesse controllare tutto alla perfezione, ci vorrebbero migliaia di dipendenti preposti a farlo, con conseguenze ovvie sulle finanze dell’azienda. Inoltre, una volta segnalato, da parte dei genitori del ragazzo malmenato, che tale video era in rete, Google provvide immediatamente a rimuoverlo.
Una direttiva dell’Unione Europea sull’e-commerce, recepita in Italia nel 2003, prevede che gli intermediari non sono responsabili di quanto viene pubblicato sui loro siti. I giudici ritennero google un mass-media tradizionale, come tale soggetto alle leggi che invece regolamentano quel settore.
Sulla sentenza a favore di Google nei confronti di Viacom, va precisato che un dirigente di quest’ultima, in una e-mail, affermava candidamente che Youtube si comportava in maniera del tutto differente da Grokster, un sito condannato per i suoi comportamenti. Viacom non rinuncerà al ricorso in appello, ma risulta evidente come le sue possibilità siano ridotte al lumicino.
Si può a mio avviso affermare che abbia vinto la libertà di espressione, che in caso di sentenza favorevole a Viacom sarebbe stata invece minata alle fondamenta, mettendo a rischio un servizio fruito da milioni di persone ogni giorno.
Thomas Margoni nasce a Trento 32 anni fa. Si laurea in Lettere e Filosofia con il massimo dei voti all’Università di Trento. Ha svolto per qualche tempo la professione di insegnante, e da diversi anni collabora con la segreteria de Il Popolo della Libertà, presso la sede regionale di Trento.