Mondiali di calcio in Sudafrica. E poi?

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di ERIC MOLLE

Dal 11 giugno scorso l’attenzione di molti si è concentrata sul Sudafrica. Ovviamente l’obiettivo di tale concentrazione non è assolutamente legato a fenomeni di carattere politico, quanto piuttosto all’inizio dei mondiali di calcio, i primi giocati sul continente africano. Questo mondiale si svolge quindici anni dopo i famosi campionati del Mondo di rugby, giocati proprio in Sudafrica, poco dopo gli scontri e le scelte politiche che hanno portato alla fine dell’Apartheid. Spesso in televisione vengono fatti i raffronti tra i due eventi sportivi e si sottolinea la lotta della popolazione nera per la propria libertà. Di fatto però, troppo spesso non si raccontano le difficoltà che ad oggi esistono in un Paese dove la separazione è stata abolita de facto, ma non nella realtà. Soprattutto non vengono trattati i temi principali della vita in Sudafrica e di come questo Paese è governato. Non si spiega il perché di una popolazione che in gran parte vive ancora al di sotto della soglia di povertà e in modo particolare non si discute delle disastrose riforme sanitarie o agricole messe in atto dal governo di Pretoria.

Il governo sudafricano è di per sé un’ulteriore incognita. Nel Paese governa da ormai quindici anni un solo partito: l’African National Congress – ANC, che raccoglie circa il 60% dei voti a ogni tornata elettorale. Non è di certo la democraticità del Sudafrica a rappresentare un punto di domanda, quanto piuttosto la capacità della sua classe dirigente ad affrontare i problemi del Paese. Con l’uscita di Thabo Mbeki dall’ANC e in particolare con l’arrivo al potere di Jacob Zuma, la situazione economica e sanitaria nel Paese non è migliorata.

Dall’inizio della Presidenza Zuma, nel 2007, la sensazione che esista una sorta di incapacità realista ad affrontare i problemi è diventata quanto più concreta e le ultime riforme lo dimostrano. Sembrerebbe che la nuova riforma sanitaria necessaria per cercare di ridurre la piaga dell’AIDS non porti i frutti sperati. Gli unici risultati sono stati abbastanza chiari: dopo anni di riduzione dei casi di contagio, questi sono tornati a salire. Ciò che preoccupa maggiormente è però il fatto che questa riforma costi molto senza portare a risultati concreti se non quello della crescita del debito pubblico sudafricano del 5% annuo.

La riforma agricola che il governo sudafricano ha voluto mettere in atto, nonostante sia piena di buoni propositi, rischia di mettere in grave difficoltà la capacità di produzione alimentare sudafricana. La riforma vuole ridistribuire 30% delle terre dei bianchi per darle alle popolazioni nere. L’intento principale dovrebbe anche essere quello di ridurre la disoccupazione. Di fatto: la produzione in pochi anni è stata dimezzata; i bianchi disinvestono nell’agricoltura e spesso soffrono l’insicurezza nelle proprie zone rurali; i neri non hanno l’esperienza della coltivazione e spesso vengono spostati dalle città, senza nessuna sicurezza di impiego o di risultati. Il governo sudafricano non sembra aver preso in considerazione i drammatici risultati politici della similare riforma agricola in Zimbabwe degli inizi del secolo.

All’inadeguatezza delle riforme si aggiunge peraltro una difficoltà nel creare nuovi impieghi e a contrastare la criminalità legata proprio alla disoccupazione o all’immigrazione clandestina dai Paesi vicini o africani in generale. Basti pensare che nei pressi di Johannesburg si trova una bidonville che ospita più di dieci milioni di abitanti. Bisognerà quindi osservare il Sudafrica non tanto durante, ma dopo i campionati del Mondo, tanto economicamente, quanto socialmente e politicamente, quando si potranno tirare le fila delle ricadute economiche e sociali dell’evento che, secondo molti, sarebbero deludenti.

pubblicato su Charta Minuta di maggio-giugno 2010

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