Damasco calcola le opportunità di forza

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di ANTONIO PICASSO

“Quando non riesci a ottenere la pace, ti devi aspettare la guerra”. Il Presidente siriano Bashar el-Assad, intervistato ieri dalla Bbc, ha tratteggiato uno scenario assai preoccupante per il Medio Oriente. Le ripercussioni politiche degli scontri di due settimane fa, tra la Marina israeliana e la “flottiglia della pace” diretta a Gaza, si riversano come un’onda lunga su tutte le cancellerie della regione. Adesso è giunto il turno di Damasco a prendere una posizione in merito. L’atteggiamento del leader siriano è apparso deciso e realista. Non ha parlato di una terza Intifada, né ha pronosticato uno scontro diretto fra il suo esercito e quello israeliano. “I rischi di una guerra esistevano anche prima dell’incursione contro le navi dei pacifisti”, ha spiegato Assad, aggiungendo che “Israele non è un partner per la pace”, perché il “governo piromane” di Netanyahu non può essere riconosciuto come un interlocutore attendibile per procedere sul cammino dei negoziati. La visione del leader di Damasco si distacca quindi dai fatti accaduti recentemente e si trasforma in una analisi di lungo periodo relativa alle condizioni interne della classe politica israeliana e al suo elettorato.

A dispetto della sua tradizione di Giano bifronte, la Siria questa volta ha assunto una posizione inequivocabile. Secondo Bashar el-Assad, in questo momento il processo di pace è bloccato perché l’attuale classe dirigente israeliana preferisce mantenere lo status quo. Ciò è dimostrato dalla sua politica espansionistica degli insediamenti, dal rifiuto di negoziare con l’Autorità palestinese perché questa è divisa al suo interno fra l’intransigenza di Hamas e la moderazione di Abu Mazen e, infine, sulle modalità di come e quanto alleggerire l’embargo sulla Striscia o meno. Di fronte a questa sommatoria di inflessibilità ideologica, scarso decisionismo politico e interventi militari improvvisi, Damasco ha deciso di allinearsi e attendere. Assad ha accettato uno status quo che, a suo giudizio, Netanyahu starebbe imponendo a tutti gli interlocutori nel processo di pace. Si tratta di una scelta, quella del Presidente siriano, che non porta alcun vantaggio né al suo Paese né all’intero contesto mediorientale. La Siria in questo modo non può sperare di ottenere la revisione dei confini ante-1967 e quindi la restituzione delle Alture del Golan. Tanto meno la comunità internazionale può aspettarsi risultati positivi nel processo di pace. Tuttavia quella di Damasco appare come una reazione automatica alla decisione di Netanyahu di non voler compromettersi con negoziati impopolari di fronte all’opinione pubblica interna.

Così facendo la Siria ha scaricato tutte le responsabilità delle tensioni attuali sulle spalle di Israele. Del resto il fatto che nessuna delle navi del “Free Gaza movement” sia salpata da un porto siriano – bensì da quelli turchi, ciprioti e libanesi – solleva Damasco da qualsiasi coinvolgimento indiretto nella crisi. Assad sta raccogliendo l’opportunità di dare nuovo lustro al suo Paese come potenza regionale e come interlocutore del quale non si potrà fare a meno in futuro. La capitale siriana continua a ospitare il Segretario generale di Hamas, Khaled Meshal, mantiene aperto il dialogo con l’Iran e con Hezbollah in Libano. Certo, ieri Assad ha negato alcun traffico di armi fra il suo esercito e le milizie sciite di Beirut. Tuttavia, mentre questi fattori sono una conferma per Israele che la Siria resti una sua nemica, per chi vuole riprendere i negoziati di pace si tratta di elementi di tutt’altro valore. A Washington il Presidente Obama non può trascurare le relazioni vantate da Assad. Il realismo, che pare ispiri l’attuale Amministrazione Usa, dovrebbe suggerire che la pace si fa con i nemici e che per raggiungerla è necessario un mediatore ascoltato da entrambe le parti. L’obiettivo di Assad è quello di ricoprire questo ruolo in modo credibile e autorevole. Ne consegue la scelta di non assumere un atteggiamento di ulteriore sfida nei confronti di Israele, in quanto rischierebbe di provocare nuove frizioni. Al contrario, a Damasco conviene far passare Netanyahu come l’unico responsabile della crisi. Le sue dichiarazioni alla Bbc quindi non vanno interpretate come una minaccia di guerra, bensì come un ammonimento. “Il pericolo c’è – sembra dire Assad – ma non è colpa nostra”. “Tuttavia, se si vuole riprendere il cammino per la pace, la Siria sa come ricondurre tutti i partner sulla strada maestra”.

Il 10 giugno 2000, moriva Hafez el-Assad, la “Volpe di Damasco”, protagonista fondamentale di tante pagine di storia del Medio Oriente. Alla sua scomparsa furono in molti a tremare per la stabilità del governo siriano. Il passaggio di consegne al figlio, Bashar appunto – allora privo di alcuna esperienza politica – appariva come la fine del Partito Baath. A dieci anni dall’assunzione della Presidenza, il leader siriano ha dimostrato di saper sopravvivere e di voler traghettare la Siria in una nuova condizione di soggetto forte nella regione.

Pubblicato su liberal del 18 giugno 2010

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