di FRANCESCO GIAVAZZI
Più libertà, più mobilità sociale
Rassegnarsi alla stagnazione è una sventura. E non perché la crescita economica sia priva di costi. Sempre più spesso lo sviluppo comporta danni irreversibili all’ambiente, perdita della ricchezza che proviene dalle diversità e pone di fronte al dilemma morale se sia giusto caricare i nostri nipoti dei costi del nostro benessere. Ma questo è solo un aspetto della crescita. «La crescita non comporta solo vantaggi materiali. Aumenta opportunità, tolleranza per la diversità, mobilità sociale, rende più facile perseguire l’equità, rafforza la democrazia » (Benjamin Friedman, Il valore etico della crescita, Università Bocconi Editore, 2008). La stagnazione comporta costi morali altrettanto, se non più gravi, della crescita perché in una società statica non c’è mobilità. Uscire dalla classe sociale in cui si è nati è più difficile perché i privilegi si rafforzano, ciò che conta è la rete di rapporti familiari, non il proprio merito. La mobilità sociale, che è la conseguenza più importante della crescita, smantella la corruzione e le rendite.
L’Italia non cresce più da quindici anni. Non è un caso se dopo una fase in cui corruzione e rendite sembravano recedere, esse oggi si rafforzino. Le liberalizzazioni del ministro Bersani avevano predisposto un punto di partenza. Invece nulla è successo e le corporazioni hanno avuto buon gioco nel riportare la barra verso la difesa delle loro rendite. Il ministro dell’Economia annuncia modifiche costituzionali per favorire il mercato: prima della Costituzione si potrebbero modificare alcune delle norme che il governo sta adottando. «L’aspetto più marcatamente anti- competitivo, scrive Fabiano Schivardi sul sito lavoce. info, riguarda la riforma dell’avvocatura».
Sono reintrodotte le tariffe minime, inderogabili e vincolanti, vietati accordi fra cliente e avvocato, la pubblicità è fortemente regolamentata, si estende la riserva di attività degli avvocati, l’esame di abilitazione diviene più oneroso, così come le condizioni di praticantato, senza riconoscere ai praticanti nessun diritto di compenso. Nel mercato finanziario le norme anti-scalata introdotte dalla Consob, con la benedizione del governo, nella fase più acuta della crisi, sono divenute perenni. I provvedimenti a favore delle piccole e medie imprese, pur importanti, non centrano il problema. I confronti internazionali mostrano che in Italia non nascono meno imprese che altrove. Il problema è che poi non crescono. Più che barriere all’entrata, bisogna interrogarsi sulle barriere alla crescita perché un Paese non cresce senza aziende medie e grandi che investono in ricerca e sviluppo, in marchi, in nuovi prodotti.
In Europa si fa a gara nel tagliare le spese. Bene, ma se questi tagli non sono accompagnati da concrete misure di liberalizzazione, ai nostri figli trasmetteremo società stagnanti in cui ciò che conta è dove sei nato, non quanto ti sei impegnato.
Francesco Giavazzi
pubblicato sul Corriere.it del 14 giugno 2010