Ma perché c’è chi aspetta di arrivare sull’orlo del baratro per dialogare?
di FILIPPO ROSSI
E se volassero sempre le colombe? Non sarebbe un paese migliore? È vero che esiste un tempo per la pace e uno per la guerra, ma davvero non si capisce perché mai alcuni personaggi insistano pervicacemente ad arrivare sull’orlo del baratro, a un soffio dalla rottura, prima di fare un passo indietro e comportarsi come sarebbe naturale. Eppure in Italia succede sempre così: urli e schiamazzi; slogan roboanti, inni di battaglia che all’improvviso si trasformano, come d’incanto, in teneri cinguettii, in belati.
Succede sempre così, ed è successo anche nel dibattito sulle intercettazioni: i duri e puri in un batter di ciglia diventano i primi disposti al dialogo. Saranno ingenue, ma alcune domande sorgono spontanee: perché non pensarci prima? Perché non capire che la politica è in primo luogo l’arte del dialogo e della comprensione? Non sarebbe tutto più facile se si partisse direttamente con il confronto tra esigenze diverse senza inutili e defaticanti bracci di ferro in cui il più forte vince sul più debole? La democrazia è una questione di diritti, non una prova muscolare in cui vale la logica del tutto o niente.
Se la politica riscoprisse il gusto di capire (anche) le ragioni dell’altro, di approfondire le questioni, di argomentarle, di soppesarne tutti i pro e tutti i contro, se riscoprisse la voglia del fare (davvero), senza fughe in avanti, senza ridicoli pavoneggiamenti identitari che sfociano troppe volte nel nulla, forse l’Italia potrebbe cominciare a sperare di essere un paese normale, un paese migliore. Un paese che sa dividersi quando serve dividersi ma che sa, anche, unirsi quando è il momento giusto per il dialogo. Un paese in cui le leggi si fanno per qualcuno e qualcosa e non contro qualcuno e contro qualcosa.
Forse è solo un’utopia, ma sicuramente vale la pena di provare a farla diventare realtà.