Due fenomeni strettamente collegati e nessuna legge internazionale per dare dei diritti a chi fugge dal clima impazzito
di MARTINA CECCO
Parliamo spesso di ambiente e di inquinamento, orientandoci a pensare alle conseguenze economiche e climatiche dell’alterazione degli equilibri dell’ecosistema e trascurando in certe circostanze le ripercussioni sociali di questo fenomeno. Le mutazioni climatiche sono solo un fatto geologico o sono invece un problema di geografia economica e politica del globo terrestre? Nessuna legge, nessun investimento internazionale, niente grandi opere per difendere le terre inghiottite dal mare e per frenare la riduzione delle risorse acquifere, come non vi sono progetti per intervenire nel riconvertire le terre a rischio.
Le zone del mondo dove sono in atto dei mutamenti climatici che non hanno reversibilità sono davvero tantissime: consultando il planisfero, partendo da ovest e andando progressivamente a vedere la situazione dei continenti verso est, da nord a sud, già da subito, ci accorgiamo che tutti gli stati del mondo, compresi quelli che consideriamo come “ricchi” o quantomeno “sviluppati” stanno vivendo delle situazioni critiche, mentre la forbice aumenta progressivamente laddove il globo offre meno risorse.
Anche l’Europa sta subendo il problema della diminuzione delle risorse perenni di ghiaccio, l’innalzamento delle acque marine e oceaniche, la scomparsa delle piccole isole e la desertificazione di alcune terre che si affacciano sul Mediterraneo. Ed ecco che il problema ci riguarda proprio da vicino, viene a toccare l’Italia.
Pensiamo alle Alpi: il clima alpino negli anni si è andato modificando, le precipitazioni nevose, seppure intense, non sono più sufficienti per permettere alle risorse idriche dei ghiacciai di rinnovarsi ciclicamente; il fenomeno è irreversibile e il ritiro delle nevi perenni, che spesso lascia scoprire reperti geologici di valore, seppure nel suo grande fascino storico, è il protagonista di eventi tragici come distaccamenti dal fronte e dalla roccia. Ma non solo, insieme a questo la stagione estiva mostra tutta la debolezza dell’ecosistema, con periodi di secca alternati a periodi di alluvioni con conseguenze irreparabili per l’agricoltura padana.
E sempre di clima e di risorse idriche si parla quando andiamo a vedere che cosa accade durante la stagione estiva nelle isole della Sicilia e della Sardegna: secondo quanto prevede l’Istituto Superiore per la Ricerca e per l’Ambiente nei prossimi anni la secca estiva, alternata a eventi e precipitazioni molto intense e molto frequenti su brevi periodi saranno la prima causa di gravi difficoltà economiche e produttive.
Il forte impatto dell’inquinamento in un paese di piccole dimensioni ma di grande varietà in fatto di flora, fauna e conformazione geologica, come è l’Italia ridurrà la portata dei pochi e piccoli fiumi che abbiamo, rendendo così necessario un intervento mirato al contenimento delle acque che fluiscono verso il mare, al fine di ridurne lo spreco. Per questo è fondamentale insistere nell’educazione all’uso e allo sfruttamento intelligente dell’acqua.
Non si dimentichi poi che insieme al pericolo impellente delle situazioni di emergenza idrica o di alluvione, si accompagnano fenomeni conosciuti come impoverimento del terreno, deterioramento dell’humus e del composto biologico, un generale inaridimento del suolo, insieme a un fenomeno di scomparsa delle varietà di vita, batteri, funghi, miceti, che a occhio nudo non siamo soliti considerare, ma che sono la base e il nutrimento delle piante che andiamo coltivando.
Quando si parla di inaridimento e impoverimento del suolo, riassumendolo con la parola desertificazione, in riferimento a zone come Puglia, Basilicata e Calabria, non si intende solo insecchimento, bensì aridità e infertilità, che a sua volta richiede per il terreno un investimento in fertilizzanti e nutrienti aggiuntivi, in “soldoni” degli integratori, che vanno a incrementare il costo di produzione dei beni diretti e il costo del lavoro agricolo. E poi ci lamentiamo del perché certe varietà di frutta e di verdura vengono coltivate fuori dai confini nazionali o in colture programmate (le colture veloci per il mercato della grande distribuzione).
Infine, ma non meno importante, il problema della mancanza di acqua, anche in Italia, è stato ed è destinato a diventarlo sempre più la causa di difficoltà nella gestione di emergenze incendi, la causa di improvvisa friabilità dei territori collinari del centro Italia e la causa di cedimenti del terreno anche in luoghi abitati.
L’innalzamento della temperatura infine, in tutto il globo terrestre, sta causando erosioni costiere, innalzamento del livello delle acque e modificazione della salinità delle acque, un fatto, quest’ultimo, che porta alla estinzione delle alghe specializzate nell’assorbimento dei residui inquinanti delle acque salate. Un fenomeno questo che innesca un processo ciclico che si autoalimenta, rendendo necessari interventi per la prevenzione dell’inquinamento costiero.
Se a tutto questo andiamo poi ad aggiungere il problema dell’inquinamento e del riscaldamento delle acque marine in profondità, che comporta la morte e la migrazione dei pesci, riusciamo anche a farci una idea del perché molte imprese che lavorano questo prodotto si trovano a dover combattere ad armi impari con la importazione massiccia e con l’allevamento.
Una maggiore considerazione di quello che è il nostro sottosuolo è di quelle che sono le nostre risorse ambientali è necessaria anche per la sicurezza delle città e del territorio in cui viviamo: se distruggiamo le risorse naturali che ci permettono di produrre alimenti, come ci nutriremo? Che lavoro dovranno intraprendere i braccianti, i contadini, i pescatori, gli allevatori, i “mercatari” i venditori di prodotti italiani? Faranno i magazzinieri e i commessi nei grandi centri commerciali? Urge ripensare anche a questa situazione. Forse una soluzione alternativa è ancora possibile.
Laddove abbiamo visto che i cambiamenti climatici sono tangibili e hanno una ripercussione sul presente della vita degli uomini accade un fenomeno che è conosciuto come “migrazione di massa” una emigrazione non controllabile, non programmata, che è condizionata dalle necessità impellenti delle popolazioni di sopravvivere e di nutrirsi o anche solo salvarsi.
Ritorniamo dunque al problema della migrazione condizionata dal clima con una coscienza precisa del problema, sapendone qualcosa di più. Al momento attuale non esistono dei numeri precisi per capire quante siano le persone che ogni anno subiscono un evento climatico e sono costrette a migrare, in generale si stima che ci siano circa 37 milioni di persone che vivono in condizione di “profugo” e più della metà di loro sono stati costretti a cambiare la loro vita per questioni climatiche.
Secondo la Organizzazione Mondiale Internazionale delle Migrazioni (IOM) nei prossimi dieci anni l’aumento del fenomeno sarà esponenziale, portando i profughi a 250 milioni, che si traduce in 70 volte tanto i migranti per questioni politiche o razziali.
Oltre alle dichiarazioni per i diritti dell’uomo e dei bambini non esiste al momento nessuna legge che permetta di interpretare i confini territoriali in senso ampio, consentendo ad esempio ospitalità temporanea nei periodi di invivibilità e prima accoglienza per indigenti, se non la Convenzione della International Labour Organization (ILO) n.117 del 1962, che ratifica la Convenzione n.82 del 1947 sugli spostamenti migratori per motivi di sopravvivenza economica (territori agricoli) per le aree non metropolitane.