Nella 305esima serata di Lodi Liberale è stato presentato il libro di Friedrich August von Hayek “La via della schiavitù”, pubblicato da Rubbettino Editore, insieme a Angelo Panebianco (Professore Emerito di Scienza politica all’Università di Bologna), Antonio Masala (Professore di Filosofia politica all’Università di Pisa) e Bruna Ingrao (Professore di Storia del pensiero economico all’Università La Sapienza di Roma).
COLLETTIVISMO E COSTRUTTIVISMO
“In Italia l’impostazione dei partiti socialisti è prevalente in tutto l’arco parlamentare italiano. L’edizione di questo testo è stata diffusa in modo ridotto e successivamente rieditata da Rubbettino. Il libro ha ben tre prefazioni di cui l’ultima nel 1995.” Il presidente dell’associazione Lorenzo Maggi ha introdotto la serata spiegando che il fascismo, il comunismo e il nazismo hanno radici comuni nel socialismo e Hayek è stato uno dei primi a dirlo, rintracciando nel pensiero socialista il luogo dove l’interventismo dello Stato è stato prevalente e dove ci sono stati individui che hanno preso il pieno potere per fare un’opera di assoggettamento.
“Ancora oggi il testo viene letto e pubblicato e fa parte di uno dei testi di riferimento di Thatcher e Reagan. Tre anni dopo, nel 1947 fonda la Mont Pelerin Society” in questo modo, uscendo dal suo studio, parla nel circolo delle influenze intellettuali dove la fiaccola della libertà non c’è, per mettere in guardia del rischio di perdere questo concetto. Hayek ha sottolineato peraltro la differenza tra i liberali e conservatori. Il testo è molto accessibile anche per chi non fosse specialista in filosofia politica o in studi di politica.
“L’opera è del 1944 e viene scritta quando è in atto ancora la Guerra Mondiale: in questo frangente la maturità scientifica e la consapevolezza della sua riflessione erano alte: riguardo la teoria economica, le prime certezze per passare ai temi successivi, Hayek aveva già dato forma a una delle sue riflessioni più importanti, quella legata ai limiti della conoscenza umana.” Il professor Antonio Masala ha introdotto in generale l’opera di Hayek e la saggistica precedente questo testo.
“L’intuizione di Hayek (1937) è che la conoscenza avviene nella società complessa, con le stesse regole di scambio e di concorrenza del mercato, in altre parole il meccanismo di coordinamento spontaneo in economia corrisponde anche al buon ordine sociale, quindi difendere l’ordine di mercato, significa darne la prelazione.” In ambito economico, politico, giuridico, Hayek vede la superiorità di questo modello, che va quindi difeso proprio in ragione della sua superiorità scientifica.
“Hayek era stato il grande antagonista di Keynes, però era probabilmente arrivato alla conclusione che il mondo stava andando in questa direzione, ma non bastava una teoria scientifica su quelle idee.”
PRESENTATO PARZIALMENTE A TORTO COME PROMOTORE DEL LAISSEZ FAIRE
“Mises era convinto che il liberalismo avesse formalmente vinto, ma che avesse bisogno di un supporto ideologico. E’ qui che Hayek scrive la sua opera politica, La via della schiavitù. Questa sarà ricordata come l’opera più importante, non scientificamente, ma per la ricaduta che ha avuto.” Il professor Masala ha quindi spiegato la tesi centrale del libro: che il collettivismo è un tratto che andava diffondendosi sempre più e che sarebbe la radice dei poteri centralizzanti. Infine l’idea che nulla possa essere troppo per la conoscenza umana.
Hayek è poco conosciuto in Italia
“Il grande tema intorno al quale il lavoro di Hayek ruota è il tema della libertà. In questo libro il problema che affronta è il confronto con una opinione che viene da ambienti di sinistra, ovvero intellettuali dell’Accademia, della politica, del mondo intellettuale in Gran Bretagna che rinunciano a ritenere fondamentale il liberalismo o predicano la pianificazione centralizzata. Il Tema è molto delicato, non è semplice da dipanare, perché la polemica è nei confronti di una pretesa di voler regolare e controllare l’intera attività economica con un’autorità politica che gestisca il tutto dall’altro. Resta problematico comprendere quanto la pianificazione sia da intendersi come presenza dello Stato tour court.”
“L’obiettivo di Hayek – ha detto la professoressa Bruna Igrao – è di polemizzare, contro l’uso della pianificazione controllata come strumento di giustizia sociale: si rivolge agli uomini di cultura affinché gli uomini al potere comunisti, socialisti, possano quantomeno illudersi con questa teoria”.
L’INGIUSTIZIA DELLA PIANIFICAZIONE CENTRALIZZATA, L’ESEMPIO UCRAINO
In sostanza il libro parla di quel che è successo e del perché l’illusione della pianificazione centralizzata ha avuto successo: veniva intesa come realizzazione di una giustizia sociale reale, era piuttosto convincente.
Tra gli anni ’30 e ’40 in realtà un esempio lo possiamo trovare: l’Unione Sovietica. Nel momento della Guerra l’Unione sovietica era un alleato contro il Nazismo, ma pur tuttavia in quel periodo va ricordata perché in qualche modo ha visto realizzarsi un totalitarismo devastante, a partire dalla carestia pianificata in Ucraina, quando sono stati decimati milioni di ucraini. Nel libro non se ne parla abbastanza, ma ci sono degli accenni a questo, perché in quel momento storico non si poteva parlare in modo troppo critico dell’Unione sovietica, almeno fintanto che Hitler non fosse battuto.
“I due nuclei principali sono che la pretesa di pianificare centralmente le attività economiche porta al totalitarismo; la necessità di controllo, che straborda in azioni certamente autoritarie. Dunque il germe è totalitario e dovrebbe essere incompatibile con le assemblee democratiche. Il controllo, dalla pianificazione centralizzata, diventa invasivo, perché l’autorità dovrà avocare a sé l’uso delle risorse e non si accetta la molteplicità delle scelte, perché tutte le scelte devono essere incluse e ordinate secondo uno schema di priorità.”
“La centralizzazione toglie il lievito della libertà di scelta, che è la spinta al progresso. Nonché si limita fortemente la creatività individuale.”
“Hayek – ha detto Ingrao – non è arginabile in un precostituito, perché è diffusa, prevede uno scambio, non può rientrare in un piano unico centralizzato, fatto salvo la mancanza di relazioni di mercato. Dare troppo spazio all’azione dello Stato può portare a favorire gli abusi di potere.”
“Dopo la Crisi del 1929, con il New Deal, una parte di intellettuali inizia a pensare che lo Stato liberale sia finito. Gli intellettuali erano in parte convinti che una sorta di pianificazione fosse adeguata. Negli anni ’30, in piena società di mercato, chi studiava scienze sociali parlava di programmazione, di esperti, di coordinamento tecnocratico, di pianificare. Il mondo Occidentale era permeato di queste idee.” Il professor Panebianco ha quindi descritto un ambito culturale in cui si trovano molte discrepanze, che Hayek individua, ma che molti intellettuali non vedono. Egli sta reagendo a un clima culturale dominante in occidente, che si esprime massimamente con Keynes.
” Questo libro è scorrevole, facilmente comprensibile, ma proprio per questo lo semplifica troppo. Il pensiero di Hayek è molto complesso, ma essendo un pamphlet corto il testo consente di banalizzarlo troppo e di caricaturarlo.”
“Gli Stati Uniti non erano abituati a una gestione politica come superpotenza, queste esperienze portavano a fare confusione e Hayek con questo libro intendeva chiarire alcuni punti in modo semplice per tutti.” Il professor Panebianco ha detto di non apprezzare per questo il testo, perché non offre un argomento complesso.
UN UOMO POVERO, NON E’ UN UOMO LIBERO
Per chi viveva in continente la Gran Bretagna era patria del liberalismo, ma Hayek nei suoi studi sul diritto scrive come abbia sentito la disillusione di questa idea. Al contrario, nel Stati Uniti, l’idea della libertà rimaneva nello spirito americano. La storia dell’Inghilterra dopo la II guerra mondiale è cambiata radicalmente, lavora male, ha un’economia malata ed è socialista, ha spiegato Masala.
Martina Cecco