Democrazia: il dio che ha fallito, Hoppe a Lodi Liberale

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Nella 301esima serata di Lodi Liberale è stato presentato il libro di Hans-Hermann HoppeDemocrazia: il dio che ha fallito“, pubblicato dalla Liberilibri Editrice, insieme a Raimondo Cubeddu (Senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni), Carlo Lottieri (Professore di Filosofia del Diritto all’Università Telematica Pegaso) e Andrea Venanzoni (Segretario generale AssoCyber).

“In questo libro possiamo trovare molte provocazioni ma anche molti limiti, resta comunque importante discutere di questi limiti, specialmente ora che si discute tra le democrazie occidentali e i regimi come Cina, Russia, Asia. Le democrazie liberali sono per noi il sistema meno peggiore, ma Hoppe provoca con i suoi paragoni e con le sue proposte, dove comunque l’esercizio del potere e dell’essenza dello Stato è diverso dal potere dato dall’autorità.” Il presidente di Lorenzo Maggi ha introdotto la serata in cui si parlerà della seconda edizione di un libro che ha curato e che è importante.

“Il libro è una critica sfrontata alle democrazie liberali, ma proviene da un pensatore che è una voce originale di cui bisogna tener conto e che è importante. Accanto a questo vengono fuori molti problemi, che sono i soliti per i liberali: come mai le idee libertarie non prendono corpo, non prendono dimensione quantitativa.” Il professor Cubeddu ha posto l’attenzione sul problema centrale, ovvero che la critica si focalizza sulle provocazioni e non sull’argomento centrale, cioè che la democrazia liberale non ha mantenuto le sue promesse e non riesce a mantenerle.

“Lo Stato avrebbe dovuto dare libertà a tutti e invece siamo finiti in una rete di regolamentazione tesa da dei cretini. In questi ultimi anni assistiamo al fatto che ogni decisione del Parlamento viene puntualmente smontata dalla Magistratura. Molto si basa sui pregiudizi delle corte di Giustizia, prima tra tutti quella sui Diritti umani e Universali, ma la qualità delle leggi ormai è talmente scadente che a costoro il Governo facilita molto il lavoro.” Cubeddu ha sottolineato che la classe dirigente dovrebbe smettere, come avrebbe detto Hobbe, di creare solo pasticci.

Il professor Cubeddu ha spiegato come è difficile far votare un progetto che metta in dubbio elementi che fanno parte della tradizione della democrazia occidentale, ci deve essere qualcosa di molto convincente per andare in quella direzione: il potere può essere eliminato? Se si discute dell’eliminazione del potere, si riesce ad arrivare a capire che la teoria del liberalismo è ripartita da Hayek, con la sua rielaborazione; fino a quel momento la Legge aveva autorità e diritto, che era l’elemento che avrebbe dovuto controllare il potere, ma Hobbe mette alla berlina quest’architettura. Come anche ne prende le distanze lo stesso Hayek.

“Possiamo proporre un modello politico in cui si elimina il potere delle persone sulle altre? Riducendolo al minimo? Già in Leoni era contenuta una teoria di riduzione ed eliminazione del potere, ma nessuno dei due autori lo considera e se ci si concentra sulla riduzione dello Stato, se ne aumentano le criticità e aumentano le leggi e i regolamenti.” Ha detto Cubeddu.

“Questo libro è di un quarto di secolo fa: nel 2000 fu pubblicato un libro, Abbasso la democrazia, di Facco editore. Hoppe era ispirato da una visione che parte da Habermans e arriva a Rothbard: tutta via Poppe in una struttura che vuole vedere la reciproca aggressione tra persone, cercava, al contrario, di costruire una teoria della proprietà che partisse dalla mancanza di libertà della persona, che non essendo padrona di se stessa non poteva nemmeno porre critica all’argomento della proprietà. O si è proprietari di se stessi e quindi di tutto, o non si è.” Lottieri si riferisce in questo intervento alla disomogeneità della Scuola Austriaca, dove vi sono almeno due linee di pensiero diverse, che vanno in due diverse visioni, da cui questa di radicalismo libertario.

L’unica prospettiva che Hoppe considera come utile per argomentare sulla proprietà è in Monarchia proprietaria: laddove chi ha il potere e l’autorità coincide con chi ha la proprietà, allora quella persona è l’unica ad essere protagonista di un atto di libertà positiva. Tanti Stati quanti sono le persone. La polemica verso la questione della democrazia è un argomento classico per i liberali.

“La democrazia implica una collettivizzazione della società: le parti più interessanti però derivano da Rothbard e sono quelle che si limitano al localismo. L’idea è della rinascita delle comunità, della concorrenza istituzionale, cioè se vogliamo individuare una ragionevole strada per uscire dalle logiche di interesse, serve moltiplicare gli enti per sviluppare un ordine sempre più vicino a logiche di mercato. Da questo punto di vista Hoppe segue Rothbard, ma si differenzia quando fa riferimento ai due modi diversi di difendere la proprietà.”

“E’ un libro molto popolare e altrettanto poco letto, ma attuale: di questo libro si sono fatte citazioni, senza sapere esattamente di cosa si parla, scritto e proiettato nella visione che storicamente porta poi alla prima elezione di Trump.”

Venanzoni ha spiegato che questo libro è stato usato come mezzo di conflitto contro la Clinton, etc.. ad ogni modo principalmente si parla del fatto che gli individui tendono ad unirsi tra loro in base a una consonanza, culturale o religiosa, etc.. e sulla base di un contratto di ordine naturale”. Venanzoni ha poi citato un secondo elemento urticante, quello delle divisioni etniche: “C’è un altro elemento da citare, quando Hoppe si riferisce con approccio neo giusnaturalista a una divisione naturale sociale tra etno culture, ovvero una forma naturale di consonanza, che specialmente nel contesto americano si tendono a vedere in aggregazione.”

Venanzoni ha quindi concluso spiegando che l’idea di Hoppe era di riuscire a portare a una gestione di una comunità pur senza una gestione estremamente centralizzata dallo Stato e quindi Hoppe nella pars Destruens è molto forte, nella pars Costruens è invecchiato in fretta.

“Hoppe non difende la sua prospettiva se non ancorandosi a un policentrismo medievale, che probabilmente non porterebbe da nessuna parte, se le idee che vogliamo portare avanti sono libertarie. Un conto è la pluralità dei centri di potere, con l’impossibilità tecnica, dall’autorità a se stessi, insomma una diversità di fatto, non una diversità ponderata. Il monopolio culturale era quello della chiesa, che certamente aveva un certo policentrismo, ma ad ogni modo non c’erano nazioni ma ordini e un mondo completamente diverso in cui in realtà iniziava solamente a realizzarsi uno scambio e quindi poi un monopolio del potere, quando si arrivi a parlare del Diritto Canonico, l’interpretazione del Canone. La politica poteva essere meno coercitiva perché le persone erano gestite come le bestie e si poteva vendere la proprietà con i contadini, valevano di più le bestie. Questo ordine non ha senso di essere riproposto, perché noi viviamo un una società pluri culturale, plurireligiosa e anche atea, insomma un’idea che non c’è uniformità in nessun modo.” Cubeddu ha quindi poi pensato che probabilmente l’unificazione dei centri culturali non sarebbe se non una libertà monca.

Martina Cecco

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Giornalista e blogger: scrivo per Donnissima il blog in rosa. Dirigo Secolo Trentino e Liberalcafé. Laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Trento. Lavoro per un progetto sperimentale di AI che riguarda le lingue e il loro rapporto con i motori di ricerca e la SEO.

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