Esiste una relazione diretta tra il grado di tutela della proprietà e la performance economica: i Paesi che presentano un buon quadro normativo, tutelando al meglio i marchi delle proprie aziende, vengono ricompensati con un miglior reddito pro capite, un Pil positivo e investimenti diretti esteri ricevuti.
Purtroppo, però, l’Italia non esce a testa alta da una tale situazione, trovandosi molto indietro rispetto a decine di Paesi del mondo, superata anche dal Rwanda. È quanto emerge dall’International Property Rights Index 2013 (Ipri), ossia l’Indice Internazionale sulla Tutela dei Diritti di Proprietà, i cui risultati sono stati presentati il 10 settembre a Washington. Realizzato dalla Property Rights Alliance, di cui fa parte il think thank italiano Competere.eu, l’indice misura come viene tutelata la proprietà in 131 Paesi, pari al 98% del Pil ed al 93% della popolazione globale.
I dati inerenti all’Italia, dopo tale ricerca, si sono rivelati preoccupanti. Il Bel Paese, che vede interi settori come quelli dell’agroalimentare, del design e della moda sotto l’attacco della contraffazione internazionale, si colloca alla posizione numero 47 della classifica con il punteggio di 6.1. Tra gli anni 2009 e 2013, il punteggio complessivo Ipri italiano è diminuito dello 0,8%. Sono i Paesi scandinavi ad avere la meglio: in vetta c’è la Finlandia a 8.6, mentre la Svezia e la Norvegia figurano tra i primi cinque. Nella top ten rientrano inoltre l’Olanda, la Svizzera, il Lussemburgo, Singapore, la Danimarca e il Canada. A seguire troviamo la Gran Bretagna al dodicesimo posto con 7.8, la Germania al quattordicesimo con 7.7 e gli Stati Uniti al diciassettesimo con 7.6. La Francia è invece al ventesimo con 7.3 e la Spagna al trentatreesimo posto con 6.5.
L’indice viene stilato secondo tre indicatori. Per quanto riguarda il primo, che valuta il livello della stabilità politica, della corruzione, dell’indipendenza della magistratura e dello stato di diritto, l’Italia ottiene la posizione numero 51 con un punteggio pari a 5.6, un risultato imbarazzante rispetto ai Paesi del G7 come Germania (quindicesima con 8.0), Gran Bretagna (diciassettesima con 7.7) e Usa (ventritreesimi con 7.2). Il secondo indicatore, che misura lo stato della regolamentazione dei diritti di proprietà fisica, vede il nostro Paese addirittura alla posizione numero 64 con un punteggio di 6.1, dietro a Germania (venticinquesima con 7.1), Gran Bretagna (ventesima con 7.3) e Usa (ventiduesimi con 7.2). L’ultimo è quello dedicato alla proprietà intellettuale, dove l’Italia figura al trentunesimo posto con un punteggio di 6.6, ancora una volta dietro a Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna, secondi a pari merito con 8.3, e Germania, decima con 8.1. Questo dimostra come la situazione per le piccole e medie imprese e per le start up in Italia sia sempre più complicata.
«Lo studio – ha affermato Pietro Paganini, presidente di Competere.eu – mostra che esiste una relazione diretta tra il grado di tutela della proprietà e la prestazione economica. In particolare, si può notare che i Paesi con un regime di diritti di proprietà più efficace crescono più in fretta e sono più competitivi».
«Appare chiaro – ha aggiunto Roberto Race, segretario generale – che l’area più critica nel nostro Paese è quella relativa al primo indicatore. Anche la proprietà fisica appare insufficientemente regolata, mentre quella intellettuale in proporzione è quella più efficacemente salvaguardata. Appurata la relazione positiva tra un regime di protezione dei diritti di proprietà da un lato e la crescita economica dall’altro, l’Italia deve fare di più per creare un ambiente normativo favorevole alla crescita e all’attrazione degli investimenti esteri».
di Lucia Mancini