Clochard per caso – la vita dell’uomo déraciné

di AUSILIA GUERRERA

Accade spesso che le coppie scoppino, che i genitori si dividano, che le famiglie comuni o allargate si ritirino su se stesse, come rattrappite dopo una centrifuga mal riuscita ripiegando a un minimo comun denominatore di due elementi o poco più. Dove sono finiti gli altri?
Nel cestino del desktop di una vita divenuta sempre più virtuale e frenetica.

Venuta meno la fiducia reciproca fra i coniugi che supportava il tran tran familiare, con la polifonia di oneri diritti e doveri e il dispiegamento necessario in campo di fantasia e realtà per tessere e ricamare una trama sempre più slavata e sfilacciata dal tempo, resta l’orgoglio ferito di una situazione dolorosa e incresciosa: quella dei papà-clochard. Il felice crogiolo di realismo e sogno, la combinazione di favola e romanticismo e arguzia quotidiana, ha ceduto il passo a un’amara e pletorica crisi coniugale; i due si separano e a farne le “spese” sono soprattutto i papà.

La fiducia è disattesa tradita – non solo orizzontalmente fantasticando – per cui a un certo punto non si è più capaci di portare avanti nutrire questa creatura chiamata famiglia, né d’investire tempo e denaro in un progetto comune sodale e amichevole, e le premesse-promesse sfumano dissolvendosi in lontananza, creando i presupposti di un’inevitabile rottura che si consuma voracemente. Perché le coppie, e questo è un altro dato inconfutabile, durano sempre meno. E la commedia romantica all’italiana elegiaca – da famiglia del mulino bianco – si dipinge di tragedia; assume le sembianze di un frame vorticante e desolante per le schermaglie e gli strascichi inevitabili, investendo come un rapido in pieno i figli, disorientati, ed il fragile mondo del genitore sfrattato di casa, che si ritrova déraciné, randagio.

Dopo la liberazione e un’emergenza che fa sfollare persino gli inquilini da una casa e da un quartiere, le prime speranze a riempire i cuori, le preoccupazioni pian pianino si affacciano sul crinale di una via lunga e deserta, dove poi si finisce a vivere e a sostare in questi dormitori pubblici, en plein air. Uomini barbuti e battuti dalla vita, inclassificabili, forniti del buio necessario a oscurare la vergogna per il vuoto di un’esistenza svuotata; respinti dalla vita, gettati fuori dalle rotaie di un treno in corsa, che oramai corre lontano da loro, si appoggiano alle panchine, desolati, immobili nelle loro sere difficili, orripilanti, nella corrente d’aria dell’indifferenza pressoché generale di giornate anonime e incolori. La cronaca c’informa, discorrendo di un fenomeno sociale dilagante e inedito dei genitori homeless, lumeggiando così su un’altra tessera dell’ampio mosaico della società italiana fortemente in crisi (vissuta a ridosso della crisi internazionale). È da qualche anno che si spalma sul proscenio familiare nostrano un randagismo al maschile, fenomeno singolare e allarmante frutto e conseguenza di una disomogenea distribuzione dei beni familiari, che sbilancia tutto a favore dell’altra metà del cielo, squarciando il velo del solito cliché di una giustizia che non perori a sufficienza i diritti delle donne, in vista di una maggiore tutela.

Senza chiedersi il perché delle vicissitudini, sorvolando senza addentrarsi nei meandri delle singole storie personali, campeggia una snervante logora strisciante certezza di una vita orizzontale piatta e strascicata, con il codazzo inevitabile di sensi di colpa e inettitudine: laddove c’era un uomo che optava cento volte al giorno, di fronte a mille opzioni, anche se in nessuna di esse era scritta la parola magica libertà, ora le nubi nere si addensano a coprire l’orizzonte e la visuale è offuscata da una volontà malsana, stordita a voler cercare dei corresponsabili, in una puntigliosa ricerca di un quieto vivere perso. I papà-clochard, questi randagi dei giorni nostri, novelli don-chisciotte – perduto il senso della realtà – si rigirano fra le mani non più l’album di famiglia ma un volume commemorativo di ciò che essi furono.

Sfiorato l’happy-end, ed anche la tragedia del suicidio, per cui ci si trascina, se non per un residuo di amor proprio – scampolo della vita che fu – per un sacrosanto amore dei figli, si vive da tragicomici, mimando gesti antichi eppure sconosciuti di scene quotidiane, per preservare una parvenza di normalità come fosse lo sfoggio ridicolo di un abito di un’altra taglia e per giunta liso; c’è un uomo nuovo e un uomo vecchio in conflitto: di qui la disarmonia; e ci si perde nella memoria delle vicende, delle emozioni, delle passioni, dei drammi di una vita che sopravvive a se stessa. Fuori di casa. Lontano dai propri affetti, privati di un tetto sulla testa e della dignità umana conseguente, e quel che più conta del ruolo di capo-famiglia, pungolati nell’orgoglio agli occhi della società, non essendo più la colonna morale portante della famiglia, il vertice, i papà-homeless corrono l’alea di perdere l’identità personale, oltre al conto corrente bancario.

Questa la situazione dell’ex-marito, ex per statuto, etimologicamente a indicare in senso proprio e figurato il moto dall’interno fuori da sé, che ha pochi eguali e sicuramente è priva di una qualsiasi memoria storica cui appigliarsi, perché non ci sovvengono paralleli da chiamare in causa per indorare la pillola a un simile disavventura umana. Privati dell’autorevolezza necessaria sopravvivono per strada, alla giornata, cercando di salvare il salvabile di un decoro, di un’adeguatezza quotidiani, aggrediti e vilipesi nello spirito, soprattutto agli occhi dei figli – esibiscono una dignità lontana anni luce dalla verità nuda e cruda dei fatti. Il ritmo della vita è sicuramente au ralenti Si è come soggiogati dalla volontà altrui, piegati al fato e ai capricci dei mulini a vento degli dei.

Il danno è irreparabile, la frustrazione avviluppante, perché la spina dorsale della famiglia tradizionale, è stata piegata dalla piaga amara di uno stalking declinato al femminile, o che dir sì voglia, e non c’è un alito di vento a spiegare le vele di un’esistenza arenata. È un’ennesima variazione del tema e della storia dell’infinita manipolazione umana. Come fare per non sentirsi agiti e pensati da una forza maggiore di lui o anche semplicemente diversa da lui? Sono comandanti di una nave disertata ammutinata dalla ciurma, mentre in altri tempi i comandanti delle navi andavano a picco con la loro nave dopo aver salvato l’equipaggio. Adesso quale squadra drappello umano salverà loro? Ci si può immaginare una famiglia che sopravvive dopo che i suoi capi hanno già fatto le valige? Strana rivoluzione.

Abolendo qualsiasi riferimento a tempi andati e ingialliti come cartoline d’antan, beh! si è comunque assaliti da una nostalgia che crea raccapriccio imbarazzo per un’insondabile zigzagante maldestra ingiustizia sociale, che ha creato, dalla cupa guerra dei sessi, come prodotto sociale una vittima indifesa, davvero inconsueta e incomparabile rispetto a qualsiasi espressione paradigmatica sociologica esplorata finora: il papà-clochard, che ha pagato a caro prezzo la propria ansiosa disponibilità sentimentale-matrimoniale.

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