di AUSILIA GUERRERA
Il viaggio a Medjugorje inizia solitamente all’alba. Punto di partenza sono i pullman gremiti di fedeli. Strano a dirsi ma non è un’umanità dolente; tutt’altro la gioia che si respira sin dalle prime luci dell’alba tra le fila delle poltrone, è tangibile, o forse sarebbe meglio dire udibile visto che le canzoni si elevano in spirali verticali fino al cielo lassù, come preghiere sonore immaginifiche, che ognuno satura ed esalta con le intenzioni e i suoi ringraziamenti personali; perché le veterane dei gruppi – così come noi comuni avventori – sanno bene che chi canta prega due volte!
Il pellegrinaggio via terra, molto meno frequentato di quello via mare, per ovvi motivi, risulta davvero defatigante, ma, se si è compenetrati nello spirito giusto e motivati profondamente, è una variante del viaggio a Medjugorje lastricato di tante pepite d’oro quanto sono le tappe forzate delle fermate ai motel strada facendo. Difficoltà prontamente superabili, anche perché nulla a confronto con la via crucis di Gesù; e l’attesa disseminata di “spine” e mal di schiena inevitabili, prepara ed esalta solo l’iter rendendo i pellegrini elettrici: l’aspettativa dell’arrivo si fa palpabile. A Medjugorje, per chi non è alla ennesima volta del viaggio, la sorpresa supera le “fantasticherie”.
La delusione per il paesaggio scabro, pur noto grazie ai tanti reportage giornalistici sul luogo delle apparizioni della Regina della Pace, con il passare delle ore fa il largo, assieme alla fiumana di fedeli sopraggiunti da ogni dove, ad una rivelazione che ti trasporta e t’immerge in un’altra dimensione: sembra di essere fuori del tempo. E soppianta la delusione iniziale di non provare nulla, come sensazione inevitabile di approccio al luogo mariano. “Rotto il ghiaccio”, sei catapultato oltre il senso del luogo, come se i tuoi sensi fossero dilatati acuiti dalla percezione di un “altrove” intangibile seppur sensibile. Alla generale galvanizzazione mista a timore sacro reverenziale – per cui non ci si sente mai davvero pronti al cospetto della Vergine Maria – subentra una tregua del cuore, poi un lieve disgelo infine un brio che leva il fiato ed eleva l’anima; l’intelligenza è rapita. Ti senti rinato come fossi un bimbo fra le braccia del Padre, della Madre. Sei finalmente sotto un manto speciale, avvolgente soave, mentre la pace dilaga nel tuo essere, dentro di te, stupito e leggero. Io mi sono sentita le farfalle nel cuore; è come un innamoramento.
Se così non fosse, sfido chiunque a raccontare il contrario. Il che non può essere, e sapete perché? Perché ognuno di noi si porta nel cuore, da Medjugorje, quel che Dio vuol metterci. È impensabile monitorare le singole reazioni personali. I figli del pellegrinaggio, questi figli di Medjugorje, vivono uno sfasamento temporale. Il luogo è un paesino semplice, fitto di un reticolo di stradine costellate oramai per lo più di alberghi dozzinali, che sfilano via lungo le lingue d’asfalto dei vialetti a coprire una terra diversa dalla nostra – e ci viene da chiedersi il perché l’abbiano fatto… – con la sua peculiare cromia rossastra, dello stesso colore dei sassi o piuttosto dei massi dei due monti, il Krizevac e il Podbrdo, su cui s’inerpica la via crucis delle fila di fedeli silenti, luoghi delle apparizioni della Madonna.
Nonostante l’accanimento dell’edilizia moderna che scempierebbe in apparenza il luogo, facendone un posto assolutamente anonimo, men che meno un sito sacro, e la sfilata dei negozietti dei “souvenirs” religiosi, per cui l’aria stereotipata da bazar risalta inevitabile, la marcia fervente dei fedeli con i rosari sgranati a tutte le ore e a tutte le latitudini del paese, che disorienta ed in particolare l’Adorazione serale nel piazzale retrostante la Chiesa bellissima e semplice di Medjugorje, con i due campanili svettanti contro il cielo sempre limpido della Bosnia-Erzegovina, t’immette in un atro tempo.
Senti il cielo in terra…!
Fissi gli occhi al cielo e non hai un’ ombra di dubbio: c’è qualcosa nell’aria.
E il mistero Medjugorje s’infittisce.
Qui la vita scorre lenta e pacata, come se non fosse affatto visitata dal calpestio dei tacchi moderni: perché ti par di ascoltare con il cuore solo i passi di un accompagnamento speciale: sì, perché lì sei accompagnato e preso per mano. Mentre l’ancestralità del paesaggio, e di quel che resta di un borghetto antico racchiuso fra montagne e colline, ed il soffio di pace che si respira, al riparo da ogni atto d’idolatria blasfema, esige una spiegazione razionale che può promanare solo dalla fede: per chi ne ha il dono. E in nome della Regina della Pace porti nel cuore una visione velata della vita, come se avessi letto e toccato con mano la filigrana di un foglio che, da accartocciato, una volta lì ti si è dispiegato fra le mani, e non hai più sentore dei soliti desideri, ma una gran nostalgia di un “ritorno” nel cuore.