di DANIELE CAPEZZONE
“Inseparabili”, il nuovo libro di Alessandro Piperno, rappresenta un’altra grande prova dello scrittore romano sul terreno altissimo e ambizioso del romanzo psicologico, in diretta linea di continuità – non solo per motivi di trama – con il precedente “Persecuzione”.
Dico appositamente “romanzo psicologico”, perché a me pare che la chiave più preziosa di questo libro stia proprio nella mano sicura con cui l’autore disegna il profilo interiore dei suoi personaggi, seguendone l’evoluzione, mettendoli alla prova, illuminandone contraddizioni e sfaccettature, sforzandosi di comprenderli e di farceli comprendere, in un delicato e intenso gioco di empatia e immedesimazione verso le sue creature, come se ognuna di esse rivelasse un altro volto possibile dell’autore, e in fondo anche di ciascun possibile lettore.
Ma c’è anche un aspetto di “psicologia collettiva”, di “analisi di massa”, che è il più “politico”, il più “civile” del romanzo, e che temo sarà messo tra parentesi nella discussione pubblica, perché Piperno ha davvero avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga. Descrivendo l’improvviso successo di uno dei suoi personaggi, che a un certo punto sale inopinatamente alla ribalta del mondo della cultura (su una linea pacifista-umanitaria, ovviamente), e diviene perciò oggetto di adorazione pubblica, Piperno ci mette in guardia rispetto all’isteria profonda di certe ondate di amore (così come del loro opposto: e cioè delle ondate di odio che pure si diffondono sempre più spesso, in rete come nei media tradizionali), alla perdita di misura nel consenso e nel dissenso che sembra caratterizzare il nostro tempo.
Di più: in pagine che ad alcuni appariranno sarcastiche (verso Saviano e forse non solo lui…), Piperno scolpisce la figura dell’intellettuale “di moda”, “di successo”, prigioniero del proprio personaggio e della maschera che finisce per indossare senza ormai neppure rendersene conto. A me pare (e qui sta, insieme, la grandezza e la perfidia di Piperno) che in quelle pagine l’autore, più che abbandonarsi ad esercizi di sarcasmo, tenti una generosa pedagogia verso chi è caduto in questo gioco, dall’una e dall’altra parte del palcoscenico, e quindi sia verso il “profeta” adorato sia verso la folla adorante (o odiatrice: cambia poco).
Forse sta proprio qui la riflessione più acuta di Piperno: in questo viaggio intorno alle infatuazioni e al risentimento collettivo, alle mitizzazioni e alle colpevolizzazioni di massa.
Diffidiamone, sembra dirci l’autore, e concentriamoci sul punto vero del dramma di ogni essere umano: la dimensione intima e personalissima di ciascuno di noi, la necessità di fare i conti con le nostre pulsioni più profonde, e soprattutto l’esigenza di venire a patti con gli ingombranti “files” della nostra memoria, con gli eventi-impronta che ci hanno segnato, e che di tanto in tanto tornano ad affiorare come nemici potenti e invisibili, capaci di determinare la nostra vita e il nostro rapporto con gli altri. Una grande lezione, un grande romanzo, un grandissimo Piperno.