Ritocchi e fotoritocchi: ipnotizzati dal surrealismo, rincorriamo modelli impossibili

di MARTINA CECCO

Siamo nel pieno delle vacanze estive, la gente arriva in spiaggia e si rivela, nuda, per quello che è, sia le star che la gente comune hanno parecchie cose da condividere: dalla cellulite alle smagliature, dalla pelle raggrinzita alle dermatiti. Mentre secondo i giornaletti del pomeriggio va di moda la perfezione. Che per fortuna nessuno cavalca più da tempo.

Pazienza se a Julia Roberts è saltato un contratto milionario, pazienza se H&M dovrà rifare il catalogo, ma non se ne può davvero più. Per chi non ha seguito le recenti dinamiche dobbiamo fare qualche precisazione: l’avvento della tecnologia e delle tecniche per la realizzazione di materiali fotografici e video ritoccati a basso costo, hanno permesso a tecnici più o meno qualificati, di mettere mano a quelle che si è soliti definire immagini firmate, da fotografi professionisti e grafici di alta formazione. Con la complicità della editoria, però, il desiderio di migliorare e “performare” come si potrebbe dire, il prodotto hanno condotto a un uso, che si può definire anche abuso, di ritocchi e adeguamenti di immagine, che sovente arrivano al consumatore con grossolane imprecisioni, errori dei più assurdi e correzioni delle più improbabili. Non ultima, come abbiamo anticipato, la dovuta censura a uno spot pubblicitario, che per megalomania della azienda produttrice ha reso lunari e eteree anche due delle più belle fotomodelle del pianeta che, per personalità e solarità, hanno avuto meritoria carriera.

La parola d’ordine nel settore della immagine pubblicitaria è quella di spersonalizzare, travestire, truccare, plasmare, desessualizzare, anche le donne più belle, per rendere sempre più lontana la immagine della donna (parliamo di donne perché accade più spesso) e per lasciare inalterato il Gap tra le donne “normali” e quelle da copertina.

Personalmente trovo che questo percorso di snaturalizzazione della persona, specie in tema di promozione di prodotti di bellezza e di cosmetica, sia molto sbagliato. E’ sbagliato principalmente dal punto di vista della salute, perché i modelli che si vanno proponendo non sono lo specchio della naturalezza, ma frutto di una artificiosa visione immaginaria dell’essere umano. E’ sbagliato dal punto di vista del marketing, perché le immagini promettono risultati che non corrispondono alla verità, che non sono frutto del prodotto venduto e non hanno niente a che fare con quello che viene promesso. Siamo vittime delle pubblicità, siamo vittime delle immagini, siamo vittime della bellezza, siamo vittime di tutto: eppure il genere umano è proprio bello così come è. Con un filo di trucco, se piace, con la cura della bellezza e della salute, quanto basta per piacersi e per piacere.

La snaturalizzazione della persona porta con sé anche un concetto di depauperazione del patrimonio genetico della società: pelli trasparenti, nel senso di incolore, corpi asettici come manichini, virtualizzazione del reale, trascendenza e mistificazione del prodotto, assorbimento di valori lontani dalla vita reale, fatti di parole e di immagini che servono solo per creare una sottile linea invisibile che collega il consumatore a una idea, che richiama alla mente delle sensazioni e che inganna il desiderio. Non ne possiamo più di “essere presi in giro”. Scompaiono i nei, ma sulla pelle non basta un colpetto di photo-shop, salta il giro vita, ma per la dieta servono sforzi da gigante, saltano i doppi menti, così tanto che a volte non ci sono neanche più i menti, i corpi suggellano la bellezza della malnutrizione e la gente comprende l’anomalia ma si adatta a tutto. Niente brufoli, niente ciccia, niente macchie della pelle, ma solo una bella mascherina preconfezionata, ed eccoci tutti uguali, pronti e in fila, a questo punto anche per lo scambio di coppia, tutti con gli stessi vestiti e con la stessa altezza, con lo stesso numero di scarpe e con la stessa identica faccia, se non ti piace il modello in vendita il problema è tuo … quanta sofferenza.

A mio parere, tra le pieghe di questa spersonalizzazione estrema della componente umana della società, giace latente la indifferenza alla individualità, la sensibilità per l’apparire lontano dall’essere e la relativizzazione del rapporto umano interpersonale, ovvero la smaterializzazione della passione e del sentimento. E’ una sensazione, quella che viene trasmessa, di incapacità di trasmettere affetto, emozione, sentimento, come se la volontà di apparire, la smania cosmetica, fossero un estremo sintomo di mancanza di personalità e di relativismo sociale. Da tutto questo traspare una grande sofferenza o insofferenza al limite della indifferenza, per la realtà umana. Una dimensione, questa, che è ben lontana dai modelli sociali che parlano di cosmopolitismo e di globalizzazione. Inadatta alla società contemporanea, costruita su modelli vecchi che non funzionano più e ormai alla disperata ricerca di sé.

Tuttavia, nonostante l’anima del commercio sia sempre quella che per ovvi motivi ha trascinato in genere la società, da qualche tempo tendenzialmente comincia a fare cilecca, poiché quello che stride è la completa inadeguatezza del caso, l’essere fuori dal luogo e dal tempo. E non è per niente una coincidenza se viviamo periodi di crisi, crisi economica, crisi di mercato, crisi dei valori, dato che lo scollamento tra il mondo commerciale e il mondo reale è tangibile, estremo, evidente. Totale. Quelle “maschere” non ci rappresentano e a nessuno interessano più.

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